Illeciti variabili sugli stipendi in nero
Il lavoro nero rischia di non essere adeguatamente sanzionato sotto il profilo penale tributario: secondo la pronuncia emessa dalla Suprema corte nel 2013 (sentenza 36900) e mai smentita, la corresponsione di somme al lavoratore in misura inferiore rispetto a quanto certificato, configurerebbe il reato di dichiarazione fraudolenta con altri artifici (e non mediante utilizzo di falsa documentazione), la cui sussistenza richiede il superamento di soglie di punibilità.
Dall’entrata in vigore del Dlgs 158/2015 (il 22 ottobre 2015), il reato in questione è stato inoltre modificato e non è detto sia ancora configurabile in futuro.
IL GRAFICO: le sanzioni caso per caso
Le due violazioni
L'impiego irregolare di lavoratori dipendenti si manifesta in genere in due modi differenti a seconda che le somme certificate dal datore nei documenti ufficiali siano superiori, oppure inferiori, a quanto realmente corrisposto.
Certificazione in eccesso. Nella prima ipotesi il datore di lavoro certifica degli emolumenti superiori rispetto a quelli realmente corrisposti, una circostanza che gli consente una indebita deduzione dei costi pari alla differenza tra l’importo certificato e quanto veramente consegnato al lavoratore. In questi casi potrebbe inoltre ottenere eventuali contributi, sgravi e altre agevolazioni in misura maggiore di quella spettante.
Certificazione in difetto. Nella seconda tipologia si tratta di somme “fuori busta” che consentono al datore di risparmiare imposte e contributi sull’importo non certificato.
L’uso di falsi «documenti»
Il primo illecito è certamente più insidioso perché costringe il lavoratore a ricevere una documentazione ufficiale che attesta la corresponsione di somme superiori a quelle realmente date.
Gli elementi che caratterizzano questa condotta sembrerebbero integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di falsi documenti (articolo 2 del Dlgs 74/2000), sanzionato con la reclusione da 18 mesi a 6 anni. Infatti parrebbero sussistenti tutti gli elementi tipici di questa fattispecie che riguarda chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazione relative a tali imposte elementi passivi fittizi. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
Non pare ci possano essere dubbi, a questo proposito, che le certificazioni rilasciate ai sostituiti siano «documenti» che hanno rilievo probatorio analogo alle fatture in base alle norme tributarie, così come richiesto dall’articolo 1 del Dlgs 74/2000.
Da ricordare poi che il reato scatta anche quando, sempre in base alla definizione data dall’articolo 1, siano indicati corrispettivi in misura superiore rispetto a quelli reali, come esattamente avviene nell’illecito in esame.
Secondo la Cassazione, intervenuta una sola volta sulla questione (sentenza 36900/2013), a fronte di un rapporto di lavoro esistente, ma con indicazione in busta paga di un differente importo rispetto a quello (inferiore) effettivamente corrisposto, non si configura la fattispecie di cui all’articolo 2 del Dlgs 74/2000 in quanto vengono utilizzati documenti attestanti operazioni parzialmente inesistenti, mentre per l’integrazione del reato in parola sarebbe necessaria l’inesistenza sotto il profilo oggettivo, con diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti. Ne consegue, secondo i giudici di legittimità, l’effettiva esecuzione della prestazione di lavoro: eventualmente, potrebbe integrarsi l’altro delitto di dichiarazione fraudolenta – mediante altri artifici – connotato, però, da soglie di punibilità.
IL GRAFICO: le sanzioni caso per caso