Imposte

Imposta di registro alla prova della cessione totalitaria di quote

di Giorgio Gavelli

Una delle norme di maggior interesse della legge di Bilancio 2018 (legge n. 205/2017) è sicuramente la riscrittura (ad opera del comma 87 dell’articolo 1) dell’articolo 20 del Dpr 131/1986, in tema di interpretazione degli atti portati a registrazione. Sarebbe troppo lungo soffermarsi sulle origini del problema: basti qui ricordare come l’evoluzione giurisprudenziale aveva reso legittimo per gli Uffici riqualificare ogni atto registrato sulla base della presunta intenzione degli stipulanti, come rintracciabile da un disegno complessivo che poteva individuarsi dagli effetti economici dei negozi portati a compimento (si veda «Il Registro traviato dal risultato economico» in QdF dell’11 ottobre 2017). Il tutto senza che questa riqualificazione sfociasse nella contestazione di abuso di diritto, così come da ultimo disciplinata (con tutta una serie di pesi e contrappesi tra poteri dell’Agenzia e diritti del contribuente) dall’articolo 10-bis della legge n. 212/2000. Giungendo a risultati spesso opposti alle conclusioni che l’analoga fattispecie determinava in tema di imposizione diretta, si era così, a titolo di esempio, legittimata la riqualificazione:
a)del conferimento di azienda seguito dalla cessione di quote nella newco in cessione di azienda;
b)della cessione dell’intero pacchetto delle partecipazioni in società in cessione di azienda;
c)della cessione di fabbricato poi demolito in cessione di area edificabile;
d)della concessione in affitto di lastrico solare in cessione del diritto di superficie
e così via, con il denominatore comune che l’imposizione sulla figura contrattuale considerata «realmente raggiunta» fosse assai più elevata di quella effettivamente realizzata.

L’intervento normativo si è concretizzato nel sostituire il riferimento agli «atti presentati» alla registrazione con la formula singolare «atto presentato», e nell’aggiungere che l’interpretazione del medesimo (oltre che basarsi sugli «effetti giuridici« come già disposto) debba avvenire «sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi», articoli tra cui è collocato il 53-bis (poteri degli uffici) che si arricchisce del rinvio alla disciplina antielusiva. Al di là di alcune critiche semantiche, l’intervento è sicuramente da salutare con favore, ma la relazione accompagnatoria fa sorgere più di un dubbio. Laddove, infatti, si scrive di voler «dirimere alcuni dubbi interpretativi» sorti in passato, si attribuisce una connotazione sicuramente retroattiva alla disposizione, tale da guidare le decisioni non sono sugli accertamenti ancora da notificare al 1° gennaio 2018 (oltre che, ovviamente, agli atti ancora non registrati a tale data) ma anche sul contenzioso pendente. Tuttavia, il testo letterale della modifica non depone in tal senso, anche se va opportunamente sottolineato come l’attuale formulazione non costituisca altro che una puntualizzazione della locuzione «effetti giuridici» già presente nel testo e che la lettura di Entrate e Cassazione aveva (senza motivazioni valide) stravolto. Inoltre, con riferimento alle ipotesi b) e d) sopra riportate sorge il dubbio che ricondurre l’analisi interpretativa al solo singolo atto non sia sufficiente a bloccare le riqualificazioni citate, sebbene la stessa relazione affermi esplicitamente che «non potrà, ad esempio, essere assimilata ad una cessione di azienda la cessione totalitaria di quote». È prevedibile che si discuterà a lungo sul ruolo degli atti parlamentari come fonte di interpretazione “primaria” della norma, poiché dall’esito di questo dibattito dipenderà una parte rilevante dell’efficacia concreta dell’intervento operato con la legge di Bilancio.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©