Indagini bancarie difficili da smentire
La scadenza alla fine del prossimo mese di dicembre dei termini di decadenza degli accertamenti relativi al periodo di imposta 2012 (ovvero 2011, in assenza di dichiarazione) sta comportando in questi giorni un’accelerazione della chiusura delle attività di controllo per procedere al più presto alla notifica dell’atto impositivo.
In tale contesto normalmente non viene svolto alcun contraddittorio trattandosi generalmente di controlli cosiddetti a “tavolino” svolti cioè presso l’ufficio e non presso la sede del contribuente per i quali ormai per giurisprudenza costante di legittimità non è necessario alcuna forma di contraddittorio preventivo.
Nessun diritto generalizzato
Secondo la Corte di cassazione non esiste nel nostro ordinamento un diritto generalizzato al contraddittorio preventivo, salvo non sia espressamente previsto per legge. Si tratta, infatti, di un principio di derivazione comunitaria e pertanto applicabile solo ai tributi “armonizzati”.
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Tuttavia, anche per questa ipotesi, perché operi la sanzione di nullità del provvedimento, il contribuente deve dimostrare che in tale sede avrebbe potuto produrre elementi difensivi.
Più in generale, quindi, l’obbligo di contraddittorio preventivo riguarda gli accertamenti Iva o derivanti dall’applicazione di norme che espressamente prevedono il confronto prima dell’emissione dell’atto.
Verifiche in sede e indagini
Resta invece fermo l’obbligo per i controlli svolti presso la sede del contribuente (articolo 12 comma 7 della legge 212/2000).
In questo contesto resta tuttora controversa l’ipotesi delle indagini finanziarie e quindi delle rettifiche fondate sull’esito di tale attività investigativa. Si tratta di una questione particolarmente delicata sia per la frequenza di tale tipologia di controlli, sia perché, vigendo una serie di presunzioni a favore del fisco, spesso gli importi contestati sono particolarmente elevati.
La disciplina di questa attività ispettiva, senz’altro, una tra le più penetranti ed incisive, è contenuta negli articoli 32 del Dpr 600/73 (per le imposte sui redditi) e 51 del Dpr 633/72 (per l’Iva).
Queste disposizioni, pressoché identiche, consentono all’amministrazione di richiedere, previa autorizzazione, dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, dal contribuente attraverso qualunque intermediario finanziario. Sia l’articolo 32 del Dpr 600/73 sia l’articolo 51 del Dpr 633/72, prevedono che i movimenti bancari «sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti…se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito».
Dal tenore della norma emerge che la presunzione si “attivi” solo «se il contribuente non dimostra»: va da sé che poiché la presunzione è un elemento proprio dell’accertamento, necessariamente la dimostrazione richiesta al contribuente deve essere precedente la sua emissione.
In altre parole, ciò che non risulta giustificato si presume reddito non dichiarato. Ne consegue che proprio dal tenore della norma, si ravviserebbe l’obbligo di contraddittorio preventivo. Tuttavia, la Corte di cassazione ha escluso, anche di recente (si veda l’articolo a fianco) un simile obbligo.
I tribunali in controtendenza
Alcuni giudici di merito hanno però ritenuto nullo l’atto emesso in violazione del contraddittorio preventivo, a prescindere dalla sussistenza di una norma specifica. Secondo la Ctr Emilia Romagna (sentenza 1932/14/2017) la tutela del contraddittorio è obbligatoria anche nei casi in cui la legge lo escluda, perché si tratta di una disposizione contrastante con il diritto comunitario.
Da ciò, ne consegue una necessaria applicazione anche alle verifiche svolte a “tavolino”. Non è pertanto sufficiente il semplice invio di questionari, poiché parte dell’istruttoria e non del contraddittorio (si veda anche Ctr di Milano 3509/13/17).
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