Italia e Francia spingono la web tax ma la strada è in salita
Con un comunicato congiunto del 1° agosto, il ministro dell’Economia Giovanni Tria e l’omologo francese Bruno Le Maire hanno ribadito «l’impegno per l’adozione in tempi brevi della proposta della Commissione europea sulla tassazione dei servizi digitali a partire dalla fine del 2018, con l’obiettivo di iniziare ad affrontare il tema della tassazione dell’economia digitale, e concordano sul fatto che la questione sia della massima importanza per i cittadini e garantirebbe maggiore equità ed efficienza». L’impegno sembra essere quello di lavorare per l’adozione, entro la fine dell’anno, della proposta di direttiva del Consiglio europeo del 21 marzo relativa alla digital tax su alcuni servizi digitali.
Si va, quindi, verso l’imposta del 3% sui ricavi derivanti dalla fornitura dei servizi digitali B2B e B2C caratterizzati dall’attività degli utenti su interfacce digitali, che dalle prime stime dovrebbe interessare circa 200 imprese operanti in Europa. Obiettivo non semplice dato l’ostruzionismo di molti Paesi che hanno espresso perplessità in merito alla concreta efficacia della proposta del Consiglio, ritenendo che la soluzione debba trovare un consenso globale. Tra questi, oltre ai Paesi che traggono vantaggio dagli attuali sistemi fiscali (Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Malta), esprimono riserve anche la Svezia e la Germania. Del resto non sembra che la proposta europea superi le critiche già avanzate per la digital tax italiana in merito a fenomeni di doppia imposizione e alla totale irrilevanza degli utili o perdite effettivi per misurare la capacità contributiva, nonché alle specifiche difficoltà applicative soprattutto in merito alla geolocalizzazione degli utenti in base alla quale assolvere l’onere fiscale nei vari Paesi dell’Unione. La mancanza di unanimità richiesta per l’adozione della direttiva, tuttavia, non dovrebbe essere un ostacolo potendosi percorrere la via della cooperazione rafforzata, sempreché vi sia unità d’intenti tra almeno nove Paesi.
Dal comunicato si evince, inoltre, che, è opportuno adottare rapidamente la direttiva sulla Common consolidated corporate tax base (Ccctb), che dovrebbe integrare anche i principi di tassazione riferibili alle imprese digitali. Tuttavia, non è specificato come la Ccctb vada ad integrarsi con la proposta di direttiva istitutiva della «presenza digitale significativa», e come si vogliano disciplinare le medesime situazioni rilevanti fiscalmente con riferimento ad imprese digitali residenti in Paesi extra Ue in tutti quei casi in cui prevarrebbero le norme convenzionali che dovrebbero essere, pertanto, rinegoziate. Si conferma, quindi, la percezione di una disparità di trattamento a danno delle imprese europee localizzate in Paesi con un livello di tassazione adeguato, e sancendo il mancato raggiungimento dell’obiettivo di equità ed efficienza, per prevenire una concorrenza sleale fra le imprese digitali.
Qualora la soluzione Ue non si perfezioni entro il 2018, come è probabile, tornerebbe in auge con tutti i limiti ed effetti distorsivi del caso, la digital tax domestica. In questa evenienza, sarebbe comunque opportuno pensare a una ridefinizione della stessa più in chiave equitativa e internazionale per evitare che l’onere fiscale colpisca in modo indiscriminato anche e soprattutto le imprese italiane già assoggettate a tassazione congrua ottenendo l’effetto perverso di contribuire a una sensibile riduzione dei margini o addirittura a un possibile default.