L’Iri conviene per le riprese fiscali
L’Iri (imposta sul reddito d’impresa) presenta taluni aspetti indubbiamente interessanti. Altri, invece, devono essere meglio definiti (la conversione del Dl 50/2017 potrebbe essere l’occasione).
Un aspetto che va considerato positivamente è che la norma prevede la tassazione definitiva a tassazione separata nella misura del 24% delle cosiddette riprese fiscali. La norma è chiara: dal reddito si deducono i prelievi fatti dai soci e dal titolare dell’impresa individuale «a carico dell’utile dell’esercizio e delle riserve di utili». Il principio viene avvalorato dalla norma (comma 3 dell’articolo 55-bis) per i prelievi «a carico dell’utile dell’esercizio e delle riserve di utili» che costituiscono reddito d’impresa per i soci e l’imprenditore individuale. In sostanza, il tutto vuole dire che le riprese fiscali sono tassate al 24%, per cui chi ha importanti variazioni fiscali in aumento ha sicuramente una convenienza ad applicare l’Iri.
Per i prelievi ci sono comunque due aspetti da chiarire:
se devono essere considerati “per cassa” in relazione allo stesso periodo in cui vengono eseguiti;
che fine fanno eventuali prelievi superiori all’utile, molto frequenti in queste realtà.
I due temi sono, di fatto, intrecciati. Infatti, se nel periodo d’imposta X l’utile risulta pari a 120, il reddito a 200 e i prelievi effettuati nello stesso periodo X risultano 180, si ha che per questo periodo il reddito soggetto a Iri è pari a 80 (200 meno i prelievi fino a concorrenza dell’utile, pari a 120). Il problema è che fine fanno gli altri prelievi pari a 60, eccedenti l’utile, supponendo, ad esempio, che nei periodi successivi ci sia un ulteriore utile? Se si considerasse il principio di cassa effettivo, questi prelievi non verrebbero mai tassati (è anche vero che la società non li deduce, ma si potrebbero creare dei voluti «disallineamenti definitivi» tra la tassazione al 24% e le aliquote progressive dei soci e dei titolari). Occorre invece stabilire in questo caso una sorta di principio di «riferibilità dei prelievi agli utili» in base al quale si giunga comunque ad osservare la simmetria che il soggetto Iri deduce quello che il socio tassa.
Poi un’altra questione rilevante è quella degli accertamenti di maggiori componenti positivi nei confronti dei soggetti che optano per l’Iri. Qui le soluzioni sono due. La prima è che l’ufficio dell’amministrazione finanziaria effettui l’accertamento applicando soltanto l’aliquota del 24 per cento (e le relative sanzioni) senza applicare la presunzione giurisprudenziale della ristretta base partecipativa (che legittima ex se, secondo la Corte di cassazione, l’accertamento anche nei confronti dei soci). Se invece applica la presunzione (come pare verosimile), l’accertamento nei confronti del soggetto Iri risulterà pari a zero di imposta, visto che i prelievi (conseguenti all’attribuzione ai soci o al titolare) annullerebbero completamente il maggiore reddito imponibile. L’Agenzia poi emetterà l’accertamento nei confronti dei soci o dello stesso titolare per i prelievi effettuati. Tuttavia, per l’accertamento nei confronti dei soci di società a ristretta base partecipativa o del titolare si verifica senz’altro la sospensione del processo (ai sensi dell’articolo 39 del Dlgs 546/1992), finché quello nei confronti, in questo caso, del soggetto Iri – che ha comunque interesse ad agire - non risulta definitivo (non si verifica, invece, un’ipotesi di litisconsorzio ai sensi dell’articolo 14 del Dlgs 546/1992).