Imposte

L’Ocse: per ripartire meno oneri sul lavoro

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di Davide Colombo

Le riduzioni delle imposte standard sui redditi delle imprese e le misure di sgravio per aumentare la spesa per investimenti hanno rappresentato la forma più ricorrente e diffusa di intervento fiscale adottato dai paesi dell’area Ocse per rilanciare l’economia. L’anno scorso si sono mossi in questa direzione una dozzina di paesi, stando all’ultima ricognizione messa a punto dall’organizzazione parigina che ieri ha pubblicato il suo rapporto Tax policy reform 2017. E tra questi c’è anche l’Italia, con il taglio dell’aliquota Iri e l’adozione dei super e poi iper ammortamenti.

Procedendo in questa direzione - spiega nell’editoriale introduttivo del rapporto il segretario generale, Angel Gurria - è cresciuta la tendenza verso una maggiore concorrenza fiscale tra Paesi, che pure non si sono sottratti a una collaborazione più stretta sul fronte del contrasto all’evasione e alle forme più complesse di elusione. Secondo il rapporto anche gli interventi di riduzione del prelievo sui redditi più bassi sono stati molto diffusi (una quindicina di Paesi) mentre il passo ulteriore che andrebbe compiuto è nella direzione di un alleggerimento del carico fiscale e contributivo sul lavoro, che resta troppo elevato. «Per quanto riguarda la tassazione sul lavoro - ha spiegato infatti Gurría -, i contributi previdenziali rimangono alti in molti Paesi e ciò richiederà ulteriori azioni se l’onere fiscale complessivo sul reddito da lavoro deve essere ridotto e gli incentivi per creare nuovi occupati migliorati».

Tra i Paesi con un più elevato total tax rate, il gettito derivante dalle imposte sul reddito da lavoro e dai contributi sociali era compreso tra il 50 e il 60% nel 2015, un livello che non avrebbe mostrato significativi cambiamenti rispetto agli anni precedenti. Il cuneo fiscale e contributivo, in particolare, dopo tre anni di lieve declino nelle medie Ocse è tornato a crescere arrivando al 36% nel 2016, con sia pure marginali incrementi in 20 dei 35 paesi monitorati, a eccezione di Austria e Belgio, dove sono stati introdotti tagli sulla contribuzione dei lavoratori dipendenti e autonomi. Mentre per l’Italia la decontribuzione sulle nuove assunzioni a tempo determinato entro un tetto annuo di 3.250 euro - pure segnalato nel rapporto - non avrebbe inciso più di tanto nel 2016 sul peso complessivo del cuneo.

Ieri a Roma è stato invece presentato il rapporto di finanza pubblica del Mulino, una pubblicazione che sul fronte della politica fiscale analizza gli effetti delle diverse misure adottate nel corso dell’intera legislatura. Resta l’eredità - si legge nella sintesi - di diverse questione aperte, a partire dalla revisione dell’Irpef e la riorganizzazione della tassazione locale sugli immobili. Sull’Iva il rapporto del Mulino offre una interessante analisi degli effetti regressivi che produrrebbe un aumento delle aliquote (tema legato alla scelta da fare in legge di Bilancio sulle clausole di salvaguardia) ma viene anche ri-prospettata la questione, peraltro da anni sostenuta dalla Commissione europea, del possibile recupero di gettito dalla tassazione sui consumi in cambio di un minor carico fiscale sul lavoro.

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