Controlli e liti

La chiusura liti valorizza le sentenze pro contribuente

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di Dario Deotto

La definizione delle liti pendenti che pare prendere forma con la bozza del decreto fiscale sembra più mutuare la “filosofia” della chiusura delle liti fiscali prevista dalle sanatorie del 2002 che degli ultimi provvedimenti definitori del contenzioso (ad esempio, Dl 50/2017) i quali non hanno avuto molto successo.

Con la chiusura delle liti fiscali pendenti di cui all'articolo 16 della legge 289/2002 l'ammontare del quantum dovuto dal contribuente dipendeva, infatti, anche dall'esito del giudizio.

Su questa linea pare andare anche il decreto fiscale collegato alla manovra 2019. Dalle prime indicazioni che emergono, verrebbe prevista ordinariamente la possibilità di definizione della controversia tributaria pendente (anche in Cassazione) mediante il pagamento integrale del tributo richiesto con l'atto impugnato; verrebbero quindi “scontate” le sole sanzioni e gli interessi. Tuttavia, sarebbe ulteriormente previsto che, in caso di sentenza favorevole al contribuente, la controversia verrebbe definita con il pagamento della metà delle imposte contenute nell'atto. Questo in caso di pronuncia di primo grado. Nel caso, invece, di sentenza favorevole (per il contribuente) di secondo grado, l'ammontare dovuto sarebbe pari a un terzo delle maggiori imposte contenute nell'atto impositivo. Se la controversia attiene soltanto a sanzioni o interessi di mora, la definizione comporterebbe il pagamento del 15% del valore della controversia in caso di soccombenza delle Entrate (nell'ultima sentenza resa) o del 40% negli altri casi, quando, ad esempio, non c'è stata alcuna sentenza. A questo riguardo, va notato che nell'ipotesi in cui, per le liti aventi ad oggetto maggiori imposte, non sia intervenuta alcuna sentenza, il contribuente dovrà provvedere – se intende definire la lite – al pagamento delle imposte nella loro interezza. Nella chiusura delle liti fiscali pendenti del 2002, invece, quando non vi era stata alcuna pronuncia giurisdizionale, la definizione si aveva con il pagamento del 30% delle maggiori imposte (in caso di sentenza, invece, del 10% in presenza di soccombenza dell'amministrazione finanziaria – del 50% in caso di soccombenza del contribuente).

Ad ogni modo, al di là degli importi, traspare comunque la volontà della nuova forma di definizione di tenere conto dell'esito e dello stato del giudizio.

La data di riferimento dovrebbe essere quella del 30 settembre scorso per considerare la lite come pendente: occorre quindi che a tale data risulti notificato il ricorso introduttivo.

Il pagamento, perlomeno della prima rata, dovrebbe essere eseguito entro il 16 maggio 2019. Da quanto dovuto andrebbe scomputato quanto già versato per effetto della riscossione frazionata, anche se questo non potrà dare luogo ad alcun rimborso.

Va segnalato che le bozze del provvedimento in circolazione non prevedono la possibilità di definizione delle liti cosiddette “potenziali”, cioè degli atti non impugnati alla data del 30 settembre scorso, così come dei pvc. Questo almeno per ora.

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