La Ctp può bocciare il diniego del Fisco
Dalla giurisprudenza tributaria arriva finalmente una risposta alla domanda se il contribuente si possa tutelare nel caso in cui l’agenzia delle Entrate formalizzi un diniego di accordo a seguito della presentazione di un’istanza di transazione fiscale. La Ctp di Roma (sentenza 26135/17/2017) ha ritenuto illegittimo il rifiuto, accogliendo il ricorso di una società la quale aveva proposto il pagamento integrale dell’Iva, una falcidia parziale delle imposte sui redditi e Irap e una falcidia totale delle sanzioni.
Le motivazioni
La commissione, nel motivare le proprie conclusioni, ha in primo luogo preso posizione circa la legittimazione all’impugnazione, evidenziando come anche la Suprema corte abbia contribuito a fare chiarezza (Cassazione, 14 dicembre 2016 n. 25632), ribadendo la giurisdizione tributaria e riconoscendo al diniego di transazione natura di atto impugnabile, alla stregua di un diniego di agevolazione o definizione agevolata dell’obbligazione tributaria (così già Consiglio di Stato, 4341/2008, e Ctp Milano, 1541/25/14).
In particolare, la commissione ha ricordato che in tema di impugnabilità dei provvedimenti di diniego, anche in autotutela, dell’amministrazione finanziaria, la giurisprudenza di legittimità ne ha riconosciuto la ricorribilità davanti al giudice tributario, essendo superato il principio per cui dovevano ritenersi impugnabili solo gli atti tipici contemplati nell’articolo 19 del Dlgs 546/92.
Secondo la commissione, l’interesse processuale ad agire sorge in capo al contribuente destinatario dell’atto fin dal momento della ricezione della notizia (Cassazione, sentenza 21045/2007).
La relazione asseverata
Passando agli aspetti sostanziali, i giudici tributari hanno evidenziato che nella relazione di stima del patrimonio aziendale redatta dall’asseveratore (e dalle relative osservazioni) emergeva con sufficiente chiarezza che l’importo proposto, sebbene versato a rate, sarebbe stato superiore a quello eventualmente ricavabile in sede di liquidazione fallimentare del patrimonio aziendale. Da tali affermazioni, per i giudici romani, deriva l’ammissibilità della disponibilità del credito tributario, sia pure condizionata dall’obbligazione tributaria (sulla necessità di verificare la convenienza della proposta, Tribunale di Milano, sezione II fallimentare, decreto del 29 dicembre 2016).
Il provvedimento afferma importanti principi utili soprattutto in tutti i casi in cui il contribuente per sua natura non presenti attivi liquidabili di particolare valore: si pensi alle società della new economy, a società con beni in leasing o con molti brevetti e, in genere, a quelle prive di asset immobiliari.
Le ritenute
La giurisprudenza, peraltro, ha riconosciuto che la falcidiabilità può riguardare anche i debiti relativi alle ritenute tributarie non versate (Cassazione, sentenze 1447/2018 e 1237/2017; Tribunale di Livorno, decreto del 13 aprile 2016; Tribunale di Milano, decreto del 29 dicembre 2016). Anche alla loro ristrutturazione andranno, d’ora in poi, applicati i criteri di convenienza citati.