Controlli e liti

La mancata indicazione delle rimanenze fa scattare l’accertamento induttivo

di Roberto Bianchi

Nell’ambito delle imposte sui redditi delle imprese minori si deve considerare legittima l’adozione, da parte dell’Amministrazione finanziaria ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, del metodo induttivo di cui al comma 2, articolo 39 del Dpr 600/1973, nel caso in cui il contribuente, nella dichiarazione dei redditi afferente il periodo d’imposta confutato, abbia omesso di indicare il valore delle rimanenze di esercizio e la menzionata omissione influenzi l’attendibilità complessiva della dichiarazione.
A tale conclusione è giunta la Corte di cassazione attraverso l’ ordinanza 17785/2018 .
La Ctr della Puglia ha respinto l’appello proposto dall’agenzia delle Entrate avverso una sentenza della Ctp di Lecce che ha parzialmente accolto il ricorso di un contribuente contro un avviso di accertamento per imposte dirette e Iva. La Ctr ha osservato, in particolare, che non si poteva considerare corretta la rideterminazione delle basi imponibili, secondo la metodologia induttiva ex articoli 39 e 41 del Dpr 600/1973 effettuata dall’ente impositore, considerato che era illogico ritenere pari a zero il valore delle rimanenze finali dell’annualità fiscale oggetto del controllo, avendo il contribuente dimostrato che tale valore era pari a 75.715 euro e pertanto ne conseguiva un diverso ammontare dei suoi debiti tributari di periodo.
L’agenzia delle Entrate, avverso la decisione dei giudici pugliesi, ha proposto ricorso per Cassazione lamentando, ai sensi del comma 1, n. 3 dell’articolo 360, Codice di procedura civile, la violazione e la falsa applicazione del comma 2, articoli 39 e 41 del Dpr 600/1973 e dell’articolo 2697, Codice civile in quanto la Ctr, applicando in modo errato la regola generale dell’onere della prova, ha ritenuto i documenti prodotti dal contribuente in corso di lite inficianti le valutazioni induttivamente contenute nell’atto impositivo impugnato, negandone pertanto ogni efficacia probatoria.
A parere del Collegio di legittimità la censura è fondata in quanto, in tema di imposte sui redditi di impresa minore deve ritenersi legittima l’adozione, da parte dell’ufficio tributario, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, del criterio induttivo di cui al comma 2, articolo 39 del Dpr 600/1973 qualora il contribuente, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo oggetto di contestazione, abbia omesso di indicare il valore delle rimanenze di esercizio e tale omissione incida sull’attendibilità complessiva della dichiarazione, salva restando la facoltà per il soggetto di documentare adeguatamente l’effettiva sussistenza ed entità delle rimanenze (Cassazione, sezione 1, sentenza 9912/1996).
Inoltre, in tema di imposte sui redditi dell’impresa minore, qualora il contribuente, in violazione dell’obbligo previsto dal comma 2, articolo 18 del Dpr 600/1973 abbia omesso di indicare il valore delle rimanenze a fine anno nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’Iva, deve ritenersi legittimo il recupero a tassazione dei ricavi, induttivamente ricostruiti tramite attribuzione al venduto di tutte le merci acquistate nell’anno, in difetto di adeguati elementi di prova, incombenti al contribuente, idonei a documentare l’effettiva sussistenza ed entità delle rimanenze (Cassazione, sentenza 11601/1995).
La sentenza appare condivisibile in quanto, nell’ambito del processo di valutazione delle rimanenze finali, anche l’omesso raggruppamento dei beni in categorie omogenee per natura e valore costituisce una irregolarità grave che rende inattendibile la contabilità e consente all’Ufficio di procedere all’accertamento induttivo (Cassazione, sentenza 28061/2017).

Cassazione civile, sezione VI, ordinanza 17785 del 6 luglio 2018

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