La mancata iscrizione al Vies è ancora violazione formale
La giurisprudenza di merito si allinea alle indicazioni della giustizia europea in merito alla natura formale dell’iscrizione all’archivio Vies per l’effettuazione delle operazioni intracomunitarie. Queste sono le conclusioni cui perviene la terza sezione della Ctp Milano nella sentenza 24/3/2019 del 4 gennaio 2019 (presidente Locatelli – relatore Chiametti): quando in una cessione di beni (ma lo stesso vale per un acquisto), sono accertati i presupposti sostanziali (effettivo trasporto della merce, soggettività passiva delle parti, trasferimento della proprietà e onerosità dell'operazione) e non ricorrono ipotesi di frode, la mancata iscrizione al Vies rappresenta la violazione di un requisito formale e non di una condizione sostanziale per l’applicazione del regime Iva intracomunitario.
Pertanto non è permessa la riqualificazione dell’operazione quale cessione interna soggetta a imposta con conseguente corollario di sanzioni e interessi.
La linea europea
Il concetto è nitido nella prospettiva dei giudici europei, i quali, con la sentenza nella causa C-21/16 (richiamata nella pronuncia milanese), dopo aver citato tutti i più importanti precedenti sul tema (C-587/10, C-273/11, C-492/13 e C-24/15), confermano che il possesso della partita Iva, del codice identificativo Iva di operatore comunitario e l’iscrizione al Vies, hanno natura formale e, da soli considerati, non possono implicare automaticamente la negazione del regime di “esenzione” delle cessioni intracomunitarie. Ciò, a condizione che:
siano soddisfatti tutti i requisiti sostanziali dell’operazione intracomunitaria;
il fornitore non abbia partecipato intenzionalmente a una frode, avendo adottato tutte le misure ragionevoli a sua disposizione per evitare di esservi coinvolto (diligenza del «commerciante avveduto»);
la violazione del requisito formale non abbia l’effetto d'impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali.
La posizione della Corte
Più oscillante è la posizione della Corte di cassazione. In effetti, se la sentenza 10006/2018, cui la Ctp si riporta, si colloca nel solco dell’orientamento dei giudici europei, non altrettanto avviene per altre recenti pronunce di legittimità (21102/2018 e 28727/2018), dalle quali, seppur con sfumature diverse, emerge il perdurante rilievo assegnato a possibili irregolarità connesse al possesso del codice identificativo Iva e all’iscrizione nell’archivio Vies.
Cosa cambierà
La questione è comunque attuale. La direttiva 2018/1910, infatti, prevede che, dal 2020, il numero d’identificazione divenga una condizione sostanziale ai fini dell’applicazione del regime di non imponibilità, anziché un mero requisito formale.
In base al nuovo articolo 138, paragrafo 1, direttiva 2006/112/CE, quindi, beneficeranno del regime di non imponibilità solo le cessioni nei confronti di un soggetto passivo di altro Stato membro che sia identificato ai fini dell’imposta e che abbia comunicato al cedente tale numero identificativo, all’ulteriore condizione (nuovo paragrafo 1 bis dell’articolo 138) che siano presentati corretti elenchi riepilogativi (Intrastat) delle operazioni intracomunitarie.
Dell’evoluzione interpretativa della giurisprudenza europea e delle modifiche normative in arrivo, dà conto anche l’agenzia delle Entrate, la quale, in un recente incontro con la stampa (23 gennaio scorso), ha ammesso che risultano superate le precedenti indicazioni di prassi (circolare 39/E/2011 e risoluzione 42/E/2012), con effetto sulle attività di controllo e sui contenziosi in corso.