La ripetuta indicazione dei costi nel quadro RE obbliga il professionista a versare l’Irap
La costante ripetizione dei costi evidenziati nel quadro RE di ciascuna dichiarazione dei redditi del professionista, negli anni dal 1998 al 2000, si può considerare in mancanza di prova contraria un indice significativo dell’esistenza di un’autonoma organizzazione e, quindi, dell’obbligo, di pagare l’Irap. Ad affermarlo è la sentenza 4235/2017 della Cassazione.
La vicenda
La controversia riguarda il silenzio rifiuto opposto dall’agenzia delle Entrate all’istanza di rimborso Irap versata da un contribuente dal 1998 al 2000. Oltre che nei gradi di merito, anche in Cassazione i giudici hanno respinto le doglianze dell’uomo.
La pronuncia
I giudici di legittimità hanno ribadito che spetta al ricorrente l’onere di dimostrare la sussistenza del fatto costitutivo della pretesa restitutoria (e cioè il carattere indebito del pagamento Irap effettuato e, quindi, l’insussistenza dei presupposti di imposta). Nella fattispecie esaminata, le dichiarazioni dei redditi prodotte nel giudizio di primo grado non sono state ritenute idonee a dimostrare la carenza dei presupposti di imposta, soprattutto per il numero e l’entità dei costi elencati nelle stesse e riportati in dettaglio nella sentenza impugnata. Ciò soprattutto perché il contribuente, pur essendo gravato del relativo onere processuale, non ha fornito alcuna prova per supportare la propria istanza di rimborso, ma si è limitato, anche in sede di legittimità, a rilevare la necessità di una verifica giudiziale più approfondita degli stessi elementi emersi dalle dichiarazioni, al fine di valutare se i costi indicati potevano o meno ritenersi espressivi della sussistenza di un apparato organizzativo idoneo a rappresentare il quid pluris rispetto alle dotazioni minime per l’esercizio della professione.
La Cassazione ha concluso, quindi, che gli elementi indicati, anche se non sufficienti a dare prova certa della sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione, non lo erano nemmeno rispetto all’opposto obiettivo probatorio della sua insussistenza. Di conseguenza, il diniego del rimborso era legittimo alla luce di una corretta interpretazione del presupposto d’imposta, identificato nella sussistenza di un apparato organizzativo che affianchi il lavoro del professionista, quale fattore idoneo alla produzione di reddito aggiuntivo rispetto a quello derivante dall’attività riferibile alla sola persona del professionista.
Cassazione, sentenza 4235/2017