Adempimenti

La riproposizione delle causali aumenta il rischio contenzioso

di Angelo Zambelli

Un ritorno al passato: questo è ciò che rappresenta, di fatto, il “Decreto Dignità”, almeno nella parte in cui ha modificato l’istituto del contratto a termine.

Per decenni la disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato è stata foriera di un enorme contenzioso, letteralmente crollato dopo la “liberalizzazione” operata dal “Decreto Poletti” del 2014: basti pensare che il numero delle cause radicate nel 2012 era pari a oltre 8mila, ridottesi a sole 490 nel primo semestre del 2017.

Ebbene, le modifiche apportate dal decreto legge – già firmato dal Capo dello Stato e in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale – sono destinate inevitabilmente a incrementare nuovamente la relativa conflittualità, che tornerà presumibilmente ai livelli precedenti.

Vediamo i principali cambiamenti.

Il decreto ha innanzitutto ridotto il termine massimo di durata del contratto, da 36 a 24 mesi. La modifica più rilevante, tuttavia, è intervenuta sulla “causalità” del contratto a tempo determinato.

Il Decreto Legge, infatti, - in linea con quanto previsto dalla Riforma Fornero del 2012 - fa salva la possibilità di stipulare un primo contratto a termine “acausale”, purché di durata non superiore a 12 mesi; qualora, invece, si intenda stipulare un contratto di durata superiore, fermo il limite massimo di 24 mesi, deve ricorrere almeno una delle seguenti condizioni:

a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori;

b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

Il nuovo testo segna quindi il ritorno alle causali, pur trattandosi, in questo caso, non delle ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive previste prima del 2014, bensì di causali che, proprio per la loro formulazione, sembrano prestare il fianco a molteplici interpretazioni, come avvenuto in passato.

I contratti per attività stagionali, invece, a seguito delle modifiche apportate dall’ultima versione del decreto, continueranno a beneficiare di una “acausalità” generalizzata.

Per tutte le altre ipotesi, in caso di rinnovo, sono sempre necessarie specifiche ragioni indicate per iscritto; simile disciplina vale altresì nelle ipotesi di proroghe – ridotte complessivamente da 5 a 4 - che intervengano tuttavia oltre i primi 12 mesi del rapporto.

Si allunga, poi, il termine per l’impugnazione stragiudiziale del contratto, che passa dai precedenti 120 a 180 giorni.

La nuova normativa trova applicazione non solo ai contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore del decreto legge, ma anche ai rinnovi e alle proroghe che dovessero intervenire sui contratti attualmente in corso.

Il beneficio atteso in termini occupazionali è quantomeno dubbio: il timore, infatti, è certamente quello di incentivare un incremento del turn-over dei lavoratori a termine una volta trascorsi i primi 12 mesi di rapporto al fine di evitare faticosi quanto rischiosi contenziosi sull’interpretazione delle causali da oggi in poi necessarie quanto inevitabili.

Il decreto legge 87/2018

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