Controlli e liti

La stima Ute non basta per la rettifica del valore dell’area edificabile

di Laura Ambrosi

È illegittimo l’atto di rettifica del valore dell’area edificabile fondato sulla stima Ute (Ufficio tecnico erariale) che non indichi dettagliatamente gli estremi utilizzati per il confronto con altri immobili. Inoltre può essere irrilevante anche il valore Ici utilizzato dal Comune, così come l’iscrizione ipotecaria a garanzia del mutuo. Si tratta di elementi che, se smentiti dal contribuente, non sono prova certa della correttezza del maggior valore attribuito dall’ufficio. A fornire l’importante chiarimento è la Corte di cassazione con la sentenza n. 2246 depositata ieri.

La vicenda trae origine dalla rettifica del valore di un’area edificabile dichiarato in una compravendita. L’ufficio aveva elevato l’imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, da poche migliaia di euro, indicate in atto, a qualche milione. Successivamente, però, il valore era stato ridotto, con un’autotutela parziale, rimanendo tuttavia, ben oltre il prezzo indicato nel rogito sottoscritto dalle parti. Il provvedimento veniva impugnato dal contribuente lamentando che il valore determinato dall’ufficio non era motivato. Entrambi i giudici di merito respingevano il gravame. Il contribuente proponeva ricorso in Cassazione per difetto di motivazione.

La Suprema Corte ha ricordato che l’edificabilità di un’area va desunta dalla qualificazione attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi. Per il valore la Cassazione ha rilevato che nonostante le contestazioni del contribuente, mancava la motivazione della quantificazione.

La stima Ute, oltre a non riportare o allegare gli atti utilizzati per la comparazione, è una semplice perizia di parte. Il giudice può fondare il proprio convincimento sulla perizia Ute, ma è tenuto a indicare una adeguata motivazione delle proprie ragioni. La sentenza, richiamando un pregresso orientamento, precisa che in tema di imposta di registro per determinare il valore venale non possono essere utilizzati i criteri Ici. Per quest’ultima imposta, infatti, la valutazione è al primo giorno di ciascun anno, diversamente da come accade per l’imposta di registro.

Infine, la Cassazione ha rilevato che nemmeno l’iscrizione ipotecaria è «prova certa» del valore venale del bene. Si tratta, infatti, di una mera supposizione basata su ciò che normalmente accade, ossia che l’iscrizione è del doppio del mutuo concesso.

La decisione richiama l’attenzione del giudice tributario a una valutazione concreta dell’area e degli elementi probatori sui quali si fonda la quantificazione dell’imponibile. L’imposta di registro va calcolata non sul prezzo concordato dalle parti, ma sul valore venale in comune commercio del bene compravenduto. Da ciò consegue però che la valutazione deve tenere conto di tutti quegli elementi che consentono di attribuire maggior o minor valore al bene.

Cassazione, sezione tributaria civile, sentenza 2246 del 30 gennaio 2018

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