La Ue preclude la detrazione sulle errate operazioni interne
Prosegue la linea dura dei giudici europei in materia di detrazione dell’Iva non dovuta. Confermando il principio per cui l’esercizio del diritto di detrazione va limitato alla sola imposta dovuta e non è estendibile a quella indebitamente applicata (il concetto è stato fissato già nella causa C-342/87), la sentenza C-628/16 preclude il recupero del tributo anche sulle fatture erroneamente emesse con Iva considerando come interna un’operazione che, invece, avrebbe dovuto essere trattata come intracomunitaria.
Diversa è la posizione del legislatore nazionale che, nel giro di pochi anni, ha introdotto nell’ordinamento norme che seguono un’impostazione differente. È il caso delle disposizioni che disciplinano le violazioni al reverse charge, contenute nell’articolo 6, commi 9 bis1 e 9 bis2, del Dlgs 471/97, e, più recentemente, dell’“innesto”, operato dalla legge di Bilancio 2018, nel comma 6 della medesima norma. Seguendo la logica che ha guidato le modifiche al sistema punitivo delle violazioni al regime dell’inversione contabile, infatti, l’articolo 6, comma 6 del decreto 471/97 prevede che, quando l’imposta è applicata in misura superiore a quella effettiva, il cessionario/committente non perde il diritto alla detrazione, purché il cedente/prestatore abbia assolto il tributo, restando dovuta, in questi casi, solo la sanzione fissa (da 250 a 10mila euro), la quale, però, colpisce chi riceve la fattura e non chi la emette. La norma dovrebbe riguardare non solo il caso di errore (per eccesso) nell’applicazione dell’aliquota, ma tutte le ipotesi di fatture emesse con Iva per operazioni che sono, in realtà, prive d’imposta in quanto esenti, non imponibili o comunque non soggette al tributo, coerentemente con quanto prevede il successivo comma 9 bis3, il quale neppure sanziona l’errata applicazione del reverse charge per questo tipo di operazioni.
Se questa sarà l’interpretazione delle Entrate (com’è auspicabile), occorre però fare attenzione al fatto che una fattispecie come quella della sentenza C-628/16 potrebbe restare comunque fuori dall’ambito applicativo della nuova previsione di legge. Rileggendo i fatti di causa in chiave domestica, potrebbe essere la situazione di un soggetto nazionale IT1, che acquista beni in altro Stato Ue e li rivende ad altro soggetto nazionale IT2, il quale provvede al ritiro degli stessi nel Paese del fornitore comunitario. La riqualificazione della cessione (da IT1 a IT2) da interna a intracomunitaria, in effetti, implica che questa andrebbe fatturata dalla posizione Iva che IT1 dovrebbe assumere nello Stato membro di partenza dei beni (rappresentante fiscale o identificazione diretta), anziché con la partita Iva italiana. In tal caso, nonostante si tratti sempre dell’applicazione di un’imposta non dovuta, il fatto che la fattura sia “soggettivamente” errata potrebbe porre in dubbio l’applicabilità della norma in esame e la conseguente salvaguardia del diritto di detrazione dell’imposta.
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di Fabio Giordano, comitato tecnico AssoSoftware