Controlli e liti

Market abuse, anche dopo la Corte Ue salvo il doppio binario per le sanzioni

di Giovanni Negri

È tutta una questione di proporzionalità. La Corte di cassazione, con un’importante sentenza depositata ieri, la 45829/2018 della Quinta sezione penale, ha ritenuto che non è violato il principio del ne bis in idem nell’azione di repressione delle condotte di market abuse quando le sanzioni penali e amministrative complessivamente inflitte rispettano il principio di proporzionalità. E questo anche alla luce delle recentissime sentenze (del marzo scorso) della Corte di giustizia europea. A valutare la proporzionalità del cumulo, quando non sono necessari particolari accertamenti di fatto, può essere anche la Cassazione stessa.

Questo in punta di diritto. In punta di fatto la sentenza ha avallato, respingendo i ricorsi presentati da un terzetto di imputati, la condanna penale emessa dalla Corte d’appello di Milano per una serie di condotte che avevano avuto tra l’altro la conseguenza di alterare in maniera significativa la quotazione del titolo di una società. Per i medesimi fatti erano state inflitte, in via definitiva, da Consob sanzioni pecuniarie di 150mila euro a uno degli imputati e a 100mila ciascuno gli altri due. A queste misure si erano aggiunte le sanzioni interdittive dell’incapacità ad assumere incarichi di amministrazione nelle società quotate per la durata di 1 anno nel primo caso e di 8 mesi per ciascuno degli altri due.

La Cassazione prende soprattutto in considerazione, ed è la prima volta, le conclusioni della sentenza Garlsson del 20 marzo 2018. La pronuncia dei giudici europei ha affermato che l’articolo 187 terdecies del Tuf (peraltro modificato da pochi giorni dal decreto legislativo di recepimento del regolamento sul market abuse) non è idoneo a riequilibrare un sistema sanzionatorio come quello italiano che ammette la coesistenza di misure penali e solo formalmente amministrative, ma nei fatti penali, per la repressione delle stesse condotte di manipolazione del mercato.

Preso atto di questo giudizio, tuttavia, la Cassazione fa salvo il “doppio binario” penale-amministrativo valorizzando l’articolo 133 del Codice penale che impone al giudice di commisurare la pena alla gravità del fatto commesso: «Spetta quindi al giudice nazionale il compito di verificare la proporzionalità delle sanzioni complessivamente irrogate con riguardo a tutte le circostanze della fattispecie concreta oggetto del giudizio».

La Cassazione allora procede, ritenendo di potere intervenire senza svolgere ulteriori attività istruttorie, nel valutare il complesso “pacchetto” sanzionatorio. E lo fa sottolineando come, oltre alle misure amministrative, comunque abbondantemente al di sotto dei massimi possibili, le sanzioni penali si sono attestate sul minimo edittale previsto. “Solo” due infatti erano stati gli anni di carcere decisi nei confronti dell’imputato principale, il vero ideatore, secondo l’accusa, della strategia criminale. La multa è stata poi fissata in una cifra di poco superiore al minimo.

Tutti elementi che fanno ritenere alla Cassazione come il principio enunciato nella sentenza Garlsson non sia applicabile nella vicenda esaminata. Determinante il fatto che le misure penali siano vicine ai minimi previsti, tanto da fare ritenere alla Cassazione la loro non idoneità, da sole, a punire una condotta di market abuse che si era a lungo protratta nel tempo.

Cassazione, V sezione penale, sentenza 45829 del 10 ottobre 2018

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