Ne bis in idem: la bancarotta cede il passo all’appropriazione
Non può essere processato per bancarotta chi è già stato assolto, per i medesimi fatti, dall’accusa di appropriazione indebita. Si tratta infatti di una violazione del principio del ne bis in idem, così come interpretato di recente dalla Corte costituzionale. Lo afferma, ed è la prima volta, la Corte di cassazione con la sentenza n. 25651 della Quinta sezione penale. La pronuncia ha così annullato senza rinvio la condanna inflitta nel 2016 per bancarotta fraudolenta patrimoniale a carico dell’amministratore di fatto di una srl dichiarata fallita. Secondo l’accusa, l’imputato aveva distratto 35.000 euro, corrisposti attraverso assegni da debitori della società, ma destinati poi a terzi che con la società nulla avevano a che fare. Tra i motivi di ricorso, la difesa aveva ricordato come per il medesimo fatto, l’appropriazione di quella cifra, l’imputato era già stato giudicato e assolto anni prima, nel 2012.
La Cassazione, nell’affrontare la questione, ha anch’essa fatto ricorso alla memoria, questa volta dei precedenti, ricordando che in passato si sono avvicendati due orientamenti: uno, più risalente, assolutamente favorevole alla coesistenza tra bancarotta e appropriazione, imperniato sulla considerazione che all’unicità di un fatto storico può riferirsi una pluralità di eventi giuridici, e un altro, più recente, per il quale solo l’avvio del procedimento per bancarotta esclude la possibilità di un secondo giudizio per l’appropriazione e non viceversa.
Ora però entrambi questi indirizzi devono essere abbandonati. Decisiva in questo senso è stata la sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 2016, con la quale è stata fatta una serie di putualizzazioni sulla fisionomia del medesimo fatto anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per concluderne l’illegittimità dell’articolo 649 del Codice di procedura penale, nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che esiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per il quale è iniziato il nuovo procedimento.
Un nuovo giudizio cioè è possibile solo se il fatto che si intende punire è «naturalisticamente» diverso «e non già perchè con la medesima condotta sono state violate più norme penali e offeso più interessi giuridici». E allora la diversità della bancarotta per distrazione rispetto all’appropriazione indebita sta piuttosto nell’offesa provocata all’interesse dei creditori per la diminuzione della garanzia patrimoniale; ma si tratta di una diversità estranea all’identificazione del fatto, come fotografata dalla Consulta.