Nel Def cuneo fiscale, bonus 80 euro e Iva
I nodi politici andranno sciolti nelle prossime settimane, ma nel frattempo accelera il lavoro tecnico sui dossier che dovranno costituire l’ossatura del programma economico e delle riforme in vista della manovra d’autunno. Quattro i nodi centrali intorno a cui i tecnici del ministero dell’Economia e di Palazzo Chigi si stanno confrontando in vista della scadenza del 10 aprile, data entro la quale il Documento di economia e finanza dovrà vedere la luce: il cuneo fiscale, che potrebbe viaggiare insieme a un rafforzamento del bonus da 80 euro per i lavoratori dipendenti, l’Iva e la spending review strutturale che andrà portata avanti con l’attuazione della riforma del bilancio pubblico.
I quattro capitoli viaggiano insieme, perché dalle dimensioni dell’intervento sul cuneo dipendono le sorti dell’Iva e il peso della spending review chiamate a far quadrare i saldi di finanza pubblica. Sul cuneo le prime ipotesi parlano di un intervento che può partire da 1-1,5 miliardi, attraverso la riduzione di cinque punti (per due terzi a beneficio delle imprese, e per un terzo ai lavoratori) dei contributi previdenziali per i nuovi assunti. Sul tavolo non mancano però ipotesi più ambiziose, che mirano ad estendere la platea e hanno bisogno però di coperture più robuste.
Le riflessioni sul cuneo vanno a braccetto con quelle dell’80 euro. Dal governo si conferma l’intenzione di continuare a puntare sullo strumento, nell’ottica di rilanciare una dinamica dei consumi che senza l’aiuto si sarebbe rivelata ancora più fiacca, ma sono due i nodi da affrontare. Il primo è rappresentato dalla platea “ballerina”, che con le dichiarazioni fiscali dell’anno successivo modifica ex post l’orizzonte dei beneficiari, alimentando polemiche e soprattutto togliendo al bonus quel carattere di certezza essenziale per tradurlo in consumi e non in risparmi. Alle viste, poi, c’è una stagione di rinnovi contrattuali ampia, a partire dai 3,2 milioni di dipendenti pubblici che sono tra i massimi fruitori del beneficio. L’aumento di 85 euro medi a regime stabilito dall’accordo del 30 novembre potrerebbe infatti una grossa fetta di dipendenti pubblici fuori dall’orizzonte del bonus Renzi, a meno di complicati meccanismi per sterilizzare gli effetti incrociati delle due misure. Questo lavoro di stabilizzazione del bonus, però, potrebbe costare secondo i primi calcoli circa un miliardo di euro: risorse che potrebbero rientrare nei calcoli complessivi sulla distribuzione delle risorse fra imprese e lavoratori nella manovra sul cuneo.
Le ambizioni fiscali devono fare i conti però con i saldi di finanza pubblica, e con l’aggiustamento strutturale promesso a Bruxelles per il prossimo anno (si veda Il Sole 24 Ore del 7 marzo). Anche per questa ragione, la ricerca delle coperture guarda al tema eterno delle clausole di salvaguardia Iva. Quelle in rampa di lancio per il prossimo anno valgono in tutto 19,5 miliardi, e passano attraverso l’aumento di tre punti dell’aliquota “agevolata” (dal 10 al 13%) e di quella ordinaria (dal 22 al 25 per cento). Naturalmente le ipotesi tecniche allo studio non guardano alla dote intera che sarebbe prodotta da questi aumenti di aliquota, ma valutano diversi mix di ritocchi a seconda delle risorse da trovare.
L’Iva, insieme alle tax expenditures (vale a dire alla razionalizzazione che cancellerebbe alcune agevolazioni fiscali), ha rappresentato uno dei temi politicamente più delicati di questi anni, e il «no» a qualsiasi forma di aumento fiscale continua a dominare nella maggioranza. Anche per questa ragione le ipotesi di taglio di agevolazioni sono al momento minimali, e non superano l’orizzonte dei 300 milioni di euro.
Nel prossimo Def troverà invece sicuramente un posto di primo piano anche la revisione della spesa. Il Governo punta a rafforzare il processo già in atto facendo leva sul nuovo meccanismo previsto dalla riforma del Bilancio (approvata la scorsa estete dal Parlamento), che vincola maggiormente i ministeri al rispetto dei budget. Secondo la tabella di marcia fissata dalla riforma, entro questo mese dovrebbero arrivare a via XX settembre le relazioni da allegare al Def sulla realizzazione degli obiettivi programmatici di ciascun ministero. E prima della fine di maggio Palazzo Chigi dovrebbe dare l'ok al Dpcm con cui mettere nero su bianco le indicazioni delle priorità di governo e degli obiettivi di spesa triennali relativi ad ogni dicastero.
Già a questo punto dovrebbe essere abbastanza chiara la dote da ricavare dalla “spending” per la prossima legge di bilancio. Dalle prime simulazioni ufficiose l'esecutivo conterebbe di ricavare dalla nuova fase di spending review dai 5 agli 8 miliardi, compresi gli 850 milioni di tagli alla spesa già indicati nelle lettere di risposta a Bruxelles sulla manovrina correttiva, pari a 0,2 punti di Pil, da realizzare entro il 30 aprile. L'aggiustamento contabile dovrebbe materializzarsi non prima del 20-25 aprile, quindi dopo il Def. Ma nella maggioranza c'è anche chi spinge per un ulteriore rinvio a inizio maggio (dopo le primarie Pd). Anche perché su questo versante resta da sciogliere il nodo degli 1,5 miliardi delle maggiori entrate da aggiungere ai tagli e al miliardo atteso dall'estensione dello split payment anche ai rapporti commerciali con le società pubbliche oltre che a quelli con la Pa in senso stretto. Lo stop di Matteo Renzi all'aumento delle accise sui carburanti ipotizzato a via XX settembre rende complicata la composizione del puzzle. Anche perché dal ritocco delle sole accise sui tabacchi potrebbero arrivare non più di 200 milioni e il ricorso a nuovi interventi sui giochi sembra perdere sempre più quota con il trascorrere dei giorni.