Pace fiscale, ecco la prima scadenza (e l’invito del Fisco)
Le prime comunicazioni delle Entrate sono arrivate la scorsa settimana. Promuovono la pace fiscale e suonano così: «Qualora la S.V.sia interessata a beneficiare degli istituti deflattivi di cui al Decreto legge n. 119/2018, questo Ufficio è a Sua completa disposizione per fornire ogni chiarimento utile a consentirLe la definizione del citato avviso di rettifica e liquidazione». Linguaggio formale ma obiettivo chiaro: ricordare a chi ha ricevuto avvisi di accertamento o altri atti la chance di chiudere i conti con il Fisco tramite «il pagamento delle sole imposte dovute senza applicazione di interessi e sanzioni», come ricorda una Direzione provinciale, in una di queste comunicazioni.
Potrà sembrare una fretta eccessiva, ma non è così. Domani, martedì 13 novembre, per la pace fiscale c’è la prima scadenza da “dentro o fuori”, cui seguirà quella di venerdì 23 novembre. Sono le date entro le quali è chiamato alla cassa chi, entro il 24 ottobre scorso, rispettivamente ha sottoscritto ma non perfezionato un’adesione all’accertamento oppure si è visto notificare un avviso di accertamento o un avviso di rettifica non ancora impugnato e impugnabile (si veda il grafico in basso). Ma sarà davvero così? Tra le righe degli emendamenti presentati in commissione Finanze al Senato, dove si trova ora il decreto fiscale (Dl 119/2018), spunta l’ipotesi di un allungamento dei termini. Così i cittadini e le imprese si trovano di fronte all’ennesimo cubo di Rubik tributario: come affrontare un termine dichiaratamente perentorio e fissato per decreto, che scade prima del termine per la conversione dello stesso decreto legge? La questione è tutt’altro che teorica. Chi ha ricevuto una lettera come quella delle Entrate, o comunque sa di aver ricevuto un Pvc entro il 24 ottobre, deve decidere se pagare subito o – al contrario – se rinviare la scelta sperando in una riammissione ex post. Scelta rischiosa, ma in alcuni casi inevitabile, ad esempio per carenza di liquidità.
Il guaio è che le prime due scadenze dell’operazione pace fiscale si applicano su procedure già di per sé complesse e in alcuni casi vanno declinate tenendo conto delle mosse effettuate nelle scorse settimane da tanti contribuenti (o dai loro consulenti) per prendere tempo e valutare il da farsi. Il caso emblematico è quello di chi ha presentato istanza di accertamento di adesione dal 25 ottobre con l’unico obiettivo di non far diventare definitivo un atto di accertamento: anche se la legge non lo dice, le Entrate – basandosi sulla relazione illustrativa – intendono escluderlo dalla definizione agevolata, anche se le questione è tutt’altro che chiusa. Lo stesso vale per chi, con la stessa finalità, ha presentato ricorso, sempre dal 25 ottobre in poi, giorno successivo all’entrata in vigore del decreto fiscale (Dl 119/2018).
Intanto, il decreto è in commissione Finanze al Senato, dove sono stati depositati gli emendamenti parlamentari. La Lega propone di consentire i pagamenti fino al 20 dicembre: di fatto, una riammissione per chi dovesse saltare le due scadenze ravvicinate. Il Movimento 5 Stelle, invece, punta ad estendere la pace fiscale agli atti notificati anche dopo il 24 ottobre, fino alla conversione del decreto. A fronte di questa apertura, però, per scongiurare la “fuga dalle rate” paventata dalla Corte dei conti, il M5s chiede anche di far sì che la definizione agevolata vada a buon fine, in caso di pagamento dilazionato, solo se si salda almeno metà delle rate.