Controlli e liti

Paga il genitore? Stop al redditometro

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di Laura Ambrosi

Il pagamento di alcune rate del mutuo da parte del padre in favore del figlio non deve necessariamente risultare dai movimenti bancari con la conseguenza che è illegittimo il redditometro che non tiene conto di tali aiuti. A fornire questo importante chiarimento è la Corte di cassazione con la sentenza n. 5168 depositata ieri.

L’agenzia delle Entrate accertava maggior reddito a un contribuente, poiché aveva una capacità reddituale superiore a quanto dichiarato. Nell’esercizio verificato, infatti, risultavano sostenute spese per beni e servizi non giustificati dal reddito conseguito. Il contribuente spiegava che il padre aveva contribuito con versamenti periodici in contanti, i quali servivano per sostenere tali spese, prelevando il denaro dal conto corrente di famiglia. Il genitore, a sua volta, dimostrava la propria considerevole disponibilità finanziaria anche in conseguenza del cosiddetto “scudo fiscale”, con il quale erano state rimpatriate delle somme. L’Ufficio, tuttavia, non accettava tale tesi, ritenendola non provata, perché priva di contabili bancarie a conferma dei trasferimenti.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario, il quale solo in appello condivideva le ragioni del contribuente. In particolare, aveva rilevato che attraverso una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà il genitore confermava di aver provveduto al pagamento delle rate del mutuo dell’abitazione del figlio. A tal fine, inoltre, venivano prodotti gli estratti conto di esercizi passati, dai quali si evinceva l’intervento del padre.

L’agenzia delle Entrate ricorreva così per Cassazione lamentando, in sintesi, che gli elementi prodotti non erano sufficienti a superare l’onere probatorio a carico del contribuente. Mancava infatti, la certezza che le somme prelevate dal padre fossero state destinate ai pagamenti del figlio e l’atto di notorietà era irrilevante.

Secondo la tesi dell’Ufficio occorreva l’accredito sul conto corrente del figlio delle somme corrisposte e gli estratti conto riferiti a diverse annualità non potevano giustificare i pagamenti per l’anno accertato.

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso. L’articolo 38, comma 5, del Dpr 600/73, nel testo ante modifiche, si limitava a richiedere la dimostrazione – attraverso idonea documentazione – che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente fosse costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta. Era così sufficiente che fosse dimostrata l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso. I giudici di legittimità hanno precisato che la prova pretesa dell’Agenzia, ossia la dimostrazione dell’accredito sul conto corrente bancario delle donazioni ricevute dal padre, non trovava alcun fondamento giuridico. Il giudice di appello, quindi, con adeguata motivazione sul punto, ha valutato le prove e ha ritenuto superata la presunzione.

La decisione appare particolarmente attuale poiché, soprattutto negli ultimi tempi, spesso i genitori aiutano economicamente i propri figli e ciò, nella maggioranza dei casi, non avviene necessariamente utilizzando i canali bancari. Non di rado l’Agenzia anche in simili ipotesi pretende prove impossibili da produrre, poiché è improbabile che tra parenti si eseguano bonifici per piccoli e frequenti importi necessari al sostenimento di spese quotidiane. Secondo il principio affermato dalla Cassazione, quindi, pur lasciando la valutazione al giudice di merito, è sufficiente che le giustificazioni prodotte siano verosimili, senza che a tal fine sia necessaria una rigorosa corrispondenza con contabili bancarie ed estratti conto.

Cassazione, sezione tributaria civile, sentenza 5168 del 28 febbraio 2017

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