Per la nuova sospensione giudiziale basta il pericolo di un danno grave e irreparabile
L’articolo 62-bis del DIgs 546/92, come introdotto dal Dlgs n. 156/2015, non richiama congiuntamente i canonici concetti del “fumus boni iuris” e del “periculum in mora” ma richiede solo la sussistenza di un paventato danno grave e irreparabile per il contribuente da considerare in ciò che eccede il pregiudizio necessariamente subito dal debitore per l’esecuzione della sentenza, ove foriero «di un inaccettabile squilibrio tra i vantaggi dell’esecutore ed i sacrifici dell’esecutato».
Questo il principio che emerge dall’ ordinanza n. 26 depositata il 16 gennaio dai giudici della Commissione tributaria regionale di Milano.
La vicenda
Il caso sottoposto al collegio ambrosiano concerneva l’istanza cautelare presentata da una società volta ad ottenere la sospensione degli effetti esecutivi della sentenza di secondo grado nonché degli atti impositivi in pendenza del ricorso presentato alla Corte di cassazione.
La società istante esponeva in dettaglio la propria condizione economica tesa a dimostrare l’incapienza rispetto all’obbligazione tributaria in questione; in particolare ed in sintesi la società evidenziava che:
•il patrimonio della società era costituito dai soli beni strumentali destinati all’esercizio dell’attività;
•il reddito prodotto, al netto delle attribuzioni pro-quota ai singoli soci, non risultava tale da poter soddisfare l’obbligazione tributaria;
•aveva in corso il pagamento di alcuni finanziamenti bancari;
•i soci avevano entrambi immobili di proprietà rappresentati unicamente dall’abitazione principale;
•anche chiedendo il massimo della rateizzazione si sarebbe ottenuto un importo che avrebbe lasciato nella disponibilità dei soci risorse inesistenti da destinare ad un dignitoso mantenimento delle rispettive famiglie.
L’ordinanza
La Ctr, ai sensi dell’articolo 62-bis della norma processuale tributaria, esaminati gli atti di causa, decide di accogliere l’istanza della società contribuente concentrandosi unicamente sul danno grave ed irreparabile «nel senso di un intollerabile scarto tra il pregiudizio derivante dall’esecuzione della sentenza nelle more del giudizio di cassazione e le concrete possibilità di risarcimento in caso di accoglimento del ricorso per cassazione». (Corte Costituzionale n. 217/2010).
Il collegio rammenta come in tali circostanze gli interpreti debbano attuare un bilanciamento degli interessi in gioco che nel caso della materia tributaria vedono contrapposti, da un lato l’interesse del contribuente a non subire un danno irreparabile conseguenza del pagamento di un tributo, che potrebbe alla fine essere giudicato come non dovuto, e, dall’altro, gli interessi dello Stato al regolare pagamento dei tributi e alle esigenze del bilancio (Cassazione n. 2845/2012).
Pertanto, sottolineano i giudici, costituisce danno irreparabile ciò che l’esecuzione causa con la distruzione o con la perdita delle qualità essenziali o delle funzioni economiche del bene, senza la possibilità, nel caso di successivo accoglimento del ricorso, di un suo reintegro in natura o per equivalente; nel caso di specie non era ipotizzabile alcuna incapienza del patrimonio del creditore procedente (il fisco) atta a determinare un concreto pericolo per l’esecutato eventualmente vittorioso di non poter poi recuperare le somme versate, bensì altre circostanze un costo della provvista necessaria al pagamento non interamente risarcibile, un’ esposizione finanziaria conseguente gravemente pregiudizievole per la sopravvivenza della attività economica esercitata.
Alla luce di tali principi e deduzioni il collegio giudicante ritiene dimostrato il pericolo di danno grave e irreparabile e accoglie in toto l’istanza di sospensione subordinandola alla prestazione di garanzia per tutte le somme dovute.