Imposte

Per i «Pir» investimenti a tutto campo

di Carmine Fotina e Gianni Trovati

Nell’ultimo testo del decreto con la manovrina entra anche un mini “pacchetto sviluppo”, che fa assumere al provvedimento le vesti del «Dec» (decreto di correzione e crescita) evocato nei giorni scorsi dal premier Paolo Gentiloni anche se per il momento non contempla tutti gli ingredienti ipotizzati alla vigilia (ad esempio l’estensione dell’iperammortamento). Tre le parole chiave del nuovo capitolo: Pir, i piani individuali di risparmio nati per stimolare la parte extra-bancaria nel finanziamento alle imprese italiane di media capitalizzazione, l’«acchiappa-fondi» per rendere fiscalmente attraente il nostro Paese per i manager delle società di gestione in uscita da Londra, e le startup.

Sui Pir arrivano dal decreto una serie di chiarimenti considerati essenziali dalle società di investimento per far partire in pieno i nuovi strumenti pensati per convogliare sulle aziende del nostro Paese i risparmi di cittadini, fondi pensione e casse di previdenza. La prima indicazione, che arriva modificando una serie di riferimenti normativi scritti nei commi dell’ultima legge di bilancio, è sostanziale e chiarisce che gli investimenti nei Pir da parte di Casse previdenziali e fondi pensione non saranno limitati all’ambito azionario (quello previsto dal comma 89 della manovra) ma potranno guardare anche alle obbligazioni e agli altri strumenti finanziari emessi dalle aziende con i requisiti per utilizzare i fondi dei Pir, riservati alle imprese con residenza o stabile organizzazione in Italia. Il ritocco normativo serve a tradurre in legge una prospettiva che era già prevista da tecnici e operatori nel cantiere dei Pir, ma non era entrata nel testo della manovra anche a causa dell’approvazione sprint in Senato seguita alla vittoria dei «No» al referendum con le successive dimissioni del governo Renzi. Appianata questa incertezza normativa, è l’attesa degli addetti ai lavori, ora l’attenzione verso il nuovo strumento già manifestata in questi mesi dalle società di gestione del risparmio potrà tradursi in realtà.

Ad accompagnare questo processo interviene anche il restyling della parte fiscale per Casse previdenziali e fondi pensione. Oltre a togliere ogni dubbio (il riferimento è al comma 91 della manovra) sul fatto che le plusvalenze sono soggette all’imposta sostitutiva e non al regime ordinario, le nuove regole offrono una deducibilità piena per le eventuali perdite e minusvalenze incontrate nell’investimento. Per le Casse previdenziali, perdite e minusvalenze potranno tagliare le imposte su plusvalenze e proventi realizzati nelle operazioni dello stesso anno d’imposta o dei quattro successivi; per i fondi pensione, invece, abbatteranno l’imponibile ai fini dell’imposta sostitutiva. Una certificazione dovrà poi attestare il rispetto delle due condizioni-chiave per ottenere i benefici fiscali: il fatto che l’investimento non supera il 5% dell’attivo patrimoniale, e l’impegno a detenerlo per almeno cinque anni.

In una delle ultime bozze del decreto, spunta poi la norma “acchiappa fondi” sul cosiddetto carried interest delle Sgr (società di gestione del risparmio). Norma pensata per attrarre soprattutto fondi in uscita da Londra in seguito alla Brexit. I proventi derivanti da partecipazione in fondi percepiti da dipendenti, amministratori o consulenti delle stesse società sono tassati come redditi di capitale e non più come redditi da lavoro. Tre le condizioni. La prima: i soggetti interessati devono investire almeno l’1% dell’investimento complessivo effettuato dal fondo. Secondo: i proventi così tassati maturano solo dopo che tutti i soci abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto. Terzo: i manager, dipendenti o consulenti interessati devono mantenere l’investimento per almeno 5 anni. Altro dato da considerare: ai fini della determinazione dell’investimento che deve essere pari ad almeno al’1% si tiene conto anche dell’ammontare assoggettato a tassazione come reddito da lavoro in sede di attribuzione o sottoscrizioni delle azioni o delle quote.

Sempre sotto il titolino di “Attrazione per gli investimenti”, si interviene poi per estendere a tutte le Pmi una serie di facilitazioni attualmente riservate alle startup innovative, relative alle concessione di stock option a di dipendenti, collaboratori e amministratori e alla possibilità di raccogliere capitali anche online con il cosiddetto equity crowdfunding. Inoltre, si prolungano per le startup innovative le semplificazioni in materia di lavoro subordinato previste dal decreto crescita 2.0 del 2012: varranno per cinque (e non più quattro) anni dalla data di costituzione della società.

Nelle bozze aggiornate del decreto manovrina continuano a mancare alcune norme che sembravano fino alla vigilia condivise tra i tecnici. Non c’è l’estensione dell’iperammortamento fiscale (possibilità di completare l’investimento entro tutto il 2018) chiesta dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, uno stralcio che è stato oggetto di forti tensioni nel governo. E non ci sono le norme sulle cartolarizzazioni dei crediti immobiliari e sulla garanzia statale ai finanziamenti di soggetti non bancari come i fondi di credito, che pure erano state ormai definite (si valuterà se riproporle in sede di conversione in legge).

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