Controlli e liti

Ravvedimento più caro soltanto dopo il processo verbale di constatazione

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di Antonio Zappi

I controlli del Fisco sono effettuati con due diverse modalità operative: tramite accessi dei funzionari presso la sede del contribuente, oppure «a tavolino», vale a dire quando l’accertamento viene svolto presso i locali delle Entrate. In quest’ultimo caso è il contribuente, ex articoli 32 del Dpr 600/1973 e 51 del Dpr 633/72, ad essere invitato in ufficio per esibire la contabilità e per fornire dati e notizie per l’accertamento.

A conclusione di queste istruttorie interne, il Fisco, ove la legge non imponga espressamente l’obbligo del contraddittorio, si ritiene legittimato a notificare anche avvisi “a sorpresa”, intendendosi per tali quegli atti impositivi notificati al contribuente senza confronto preventivo (è questo, ad esempio, il caso degli accertamenti da controlli sull’inerenza e documentazione dei costi dedotti, da ricostruzioni indirette dei ricavi accertabili, eccetera).
Per le indagini “a tavolino”, infatti, non esiste nell’ordinamento alcun obbligo generalizzato di confronto con il contribuente e la necessità di chiudersi con un processo verbale di constatazione, a differenza, invece, di quanto previsto per le verifiche fiscali “esterne”, le quali, invece, devono concludersi sempre con la redazione di un Pvc (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 24823/2015).

Recentemente, però, alcuni giudici di merito (per tutte, sentenza 48/2/2018 della Ctp di Vicenza e Ctp di Reggio Emilia, sentenza 5/1/16) hanno diversamente statuito che il diritto al contraddittorio deve essere previsto anche per le verifiche «a tavolino», cosicché i funzionari, prima di notificare anche atti che non imporrebbero obblighi legali di contraddittorio, da qualche tempo informano preventivamente il contribuente sugli esiti del controllo effettuato tramite un «verbale degli esiti istruttori», che, di fatto, va ad assumere una funzione surrogata a quella che ha il Pvc nelle verifiche «esterne». Non è chiaro, però, se questo verbale “atipico” possa interferire anche con le modalità di un ravvedimento operoso ante-notifica dell’accertamento, ovvero sulla misura quantitativa delle sanzioni previste per la definizione dei rilievi in fase di contestazione. Dopo la consegna di quell’atto, infatti, si potrebbe ritenere che la riduzione sanzionatoria sia sempre dovuta nella misura massima tra quelle contemplate nell’art. 13 del Dlgs 472/1997, ovvero quella pari a 1/5 del minimo edittale delle sanzioni irrogabili, giusto quanto previsto dalla legge per il ravvedimento successivo al rilascio di un rituale Pvc redatto ai sensi dell’articolo 24 della legge 4/1929.

Tale verbale istruttorio, però, non è un processo verbale redatto ai sensi della prefata legge e quindi, non può inibire la possibilità di determinare le sanzioni in ragione del decorso del tempo dall’infrazione originaria (1/8, 1/7, e così via). In quanto atto privo di codificazione normativa, esso ha una rilevanza meramente informale nel procedimento di accertamento e, pur meritoriamente promuovendo il contraddittorio preventivo, formalizza solo una comunicazione di un imminente addebito. Al più, quindi, è assimilabile ad un invito alla compliance, ma, anche oltre la mera questione del ravvedimento (si pensi, ad esempio, all’adozione delle misure cautelari, ex articolo 22, comma 1, del Dlgs 472/1997), non è considerabile un Pvc.

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