Recupero Iva a ostacoli in caso di fallimento
Sui tempi troppo lunghi di recupero dell’Iva in presenza di fatture non incassate interviene la Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue) . Una sentenza che apre la strada a nuove regole, meno penalizzanti, per aziende e professionisti.
Recentemente la Corte di giustizia dell’Unione Europea ( di seguito Cgue) , con la sentenza 23.11.2017 , n. 887, causa C-246/16 , si è pronunciata in materia di « note di variazioni Iva in presenza di procedure concorsuali»; quali le possibili ripercussioni sull’ordinamento interno?
La vicenda riguarda la «definizione-individuazione» del termine temporale a partire dal quale la detrazione Iva possa essere effettuata dal contribuente, mediante variazione in diminuzione, nell’ipotesi di mancato pagamento connesso ad una procedura concorsuale.
L’articolo 1, comma 126, della legge 208/2015 (legge di Stabilità 2016) aveva precedentemente sostituito l’articolo 26 del Dpr 633/1972, riformulando la disciplina delle note di variazione e prevedendo che la stessa non fosse più subordinata all’infruttuosità della procedura concorsuale, per cui la nota poteva essere emessa a partire o dalla data :
• della sentenza dichiarativa del fallimento;
• del provvedimento che ordinava la liquidazione coatta amministrativa;
• del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo;
• del decreto che disponeva la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Il legislatore , a breve distanza, ha riformulato l’ articolo 26 del Dpr 633/72, prevedendo che il cedente/prestatore ha diritto ad emettere una nota di variazione, in caso di mancato pagamento, al fine di recuperare l’imposta a suo tempo versata, ma solo alla conclusione della procedura concorsuale.
La ratio legis è stata evidentemente quella di perseguire il contrasto all’evasione fiscale come si può evincere dal dettato letterale normativo della legge di bilancio 2017 che ha individuato il termine in cui è possibile emettere la variazione in diminuzione «nel momento dell’accertata infruttuosità della procedura» (ripartizione finale dell’attivo o, in mancanza, provvedimento di chiusura del fallimento).
La direttrice comunitaria
La CGUE , con la sentenza sopracitata e successivamente all’ultimo intervento normativo del legislatore nazionale, è stata interpellata circa la legittimità della normativa italiana in considerazione dell’eccessiva durata media delle procedure concorsuali e ha evidenziato che all’uopo « occorre tener conto dell’incertezza intrinseca al carattere definitivo del non pagamento…» individuando il termine per la relativa riduzione «...allorché il soggetto passivo segnala l’esistenza di una probabilità ragionevole che il debito non sia saldato, anche a rischio che la base imponibile sia rivalutata al rialzo nelle ipotesi in cui il pagamento avvenga comunque. Spetterebbe quindi alle autorità nazionali stabilire, nel rispetto del principio di proporzionalità e sotto il controllo del giudice, quali siano le prove di una probabile durata prolungata del non pagamento che il soggetto passivo deve fornire in funzione delle specificità del diritto nazionale applicabile. Una simile modalità sarebbe ugualmente efficace per raggiungere l’obiettivo previsto ma, al contempo, meno gravosa per il soggetto passivo, il quale assicura l’anticipo Iva riscuotendola per conto dello Stato».
Trattandosi di imposta neutrale uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell’Iva, sine die, all’infruttuosità di una procedura fallimentare, non dovendo ricadere sul contribuente ma ponendo , quest’ultimo, nelle condizioni di recuperare l’Iva dalla data della sentenza di fallimento, data in cui si ha la certezza dell’infruttuosità (articolo 11, parte C, paragrafo 1, comma 2 dellaVI direttiva comunitaria)...
Considerazioni
In sostanza la Corte Europea è giunta ad affermare l’incompatibilità di un tale assetto normativo sulla base dei principi unionali di proporzionalità e di neutralità dell’imposta chiarendo che lo Stato membro non può imporre limiti che rendano impossibile o eccessivamente oneroso per il soggetto passivo, anche in termini di tempo, il recupero dell’imposta relativa alla controprestazione non incassata.
Laddove si tenesse conto che:
• anche la durata minima che le procedure concorsuali richiedono nel nostro Paese è tale da far sopportare agli imprenditori, nei casi di non pagamento di una fattura, uno svantaggio in termini di liquidità rispetto ai loro concorrenti di altri Stati membri in grado di compromettere l’obiettivo di armonizzazione fiscale perseguito dalla direttiva UE;
• l’adempimento fiscale concernente la trasmissione telematica delle fatture e la comunicazione delle liquidazioni periodiche Iva, introdotto ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del Dl 193/2016, rappresenta una ulteriore e forte garanzia nei confronti del contrasto all’evasione fiscale perseguito dal legislatore ;
• la probabilità ragionevole che il debito non sia saldato è insita nella procedura fallimentare ( infruttuosità del credito fiscale in sede fallimentare);
• la neutralità dell’Iva,
la tutela del contribuente e il contrasto all’evasione potrebbero essere contestualmente perseguiti con una lieve modifica dell’articolo 26 del Dpr 633/72 per adeguarsi ai dettami comunitari; sarebbe auspicabile, a parere dello scrivente, che il termine per l’ emissione di “note di variazioni Iva in presenza di procedure concorsuali” potesse essere individuato al momento dell’apertura di una procedura concorsuale.
Certamente la recente sentenza della CGUE spinge a più di una riflessione sul tema e può già costituire per l’interprete nazionale un punto di riferimento.
Corte Ue, la sentenza nella causa C 246/16