Imposte

Regime unico per le Cfc europee ed extra Ue

di Marco Piazza

Con effetto dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, il regime di tassazione “per trasparenza” dei redditi delle società estere controllate che godono di fiscalità privilegiata (regime Cfc), viene radicalmente modificato dal Dlgs 142/2018 ( clicca qui per consultarlo ). È molto probabile, quindi, che nei gruppi con ramificazioni internazionali alcune controllate cessino di essere soggette al regime ed altre, invece comincino a entrarvi.

Nozione di controllo

In primo luogo, viene ampliata la “nozione di controllo” delle società ed enti non residenti. Si considerano controllate non solo le entità estere di cui si detenga, anche per mezzo di società fiduciarie o persone interposte, la maggioranza dei diritti di voto in assemblea ordinaria, ma anche quelle in cui si detenga una partecipazione agli utili oltre il 50 per cento, direttamente o indirettamente, mediante una o più società controllate ai sensi dell’articolo 2359 del Codice civile o tramite società fiduciaria o interposta persona.

Non sarà quindi più possibile aggirare la Cfc separando il diritto agli utili dal controllo di diritto. Viene anche confermato che la nozione di controllo si estende alle stabili organizzazioni delle controllate estere e alle stabili organizzazioni in branch exemption localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata dei soggetti residenti

Nuovo presupposto

Scompare la distinzione fra entità controllate a regime fiscale privilegiato diverse da quelle appartenenti all’Unione europea o allo Spazio economico europeo (considerate Cfc se localizzate in uno Stato in cui la tassazione nominale è inferiore al 50% di quella italiana o se beneficiate da “regimi speciali”) e le altre controllate (considerate Cfc solo se subiscono una tassazione effettiva inferiore al 50% di quella che sarebbe stata applicata in Italia e hanno proventi costituiti per oltre il 50% da “passive income”). In base alla nuova regola, devono essere verificate contemporaneamente due condizioni:

a) la controllata estera è assoggettata a «tassazione effettiva inferiore» alla metà di quella a cui sarebbe stata soggetta in Italia; e

b) oltre un terzo dei proventi è costituito da “passive income”:

•interessi o altri proventi finanziari;

•redditi da proprietà intellettuale;

•dividendi e plusvalenze da partecipazioni;

•redditi da leasing finanziario;

•redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie;

proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni o servizi con valore economico aggiunto scarso o nullo, come definiti dall’articolo 7 del decreto ministeriale 14 maggio 2018 (e al corrispondente Capitolo VII, paragrafo D, delle Linee Guida Ocse sui prezzi di trasferimento), riferito ai servizi, ma applicabili, secondo la relazione, anche ai beni (distinzione che creerà certamente problemi in presenza di distributori a basso rischio o terzisti).

Scompare quindi il riferimento al livello di tassazione nominale. Questo criterio (si veda il nuovo articolo 47-bis del Testo unico) continua ad essere utilizzato, tuttavia, per stabilire quando gli utili provenienti da società o enti non residenti e le plusvalenze derivanti dalla cessione delle relative partecipazioni devono essere tassati integralmente in base agli articoli 47, 68, 87 e 89 del Testo unico. Il criterio, infatti, si applica quando il beneficiario residente non detiene il controllo diretto o indiretto della società estera e quindi, per mancanza di dati, non è in grado di calcolare il livello di “tassazione effettiva” della partecipata.

Come è stato da più parti osservato (si veda anche l’Associazione italiana dei dottori commercialisti, integrazione alla denuncia n. 12 alla Commissione europea) il nostro legislatore non ha applicato correttamente l’articolo 7, lettera a), della Direttiva, il quale tassa per trasparenza solo i cosiddetti “passive income” e non l’intero reddito prodotto dalla Cfc) con facoltà dello Stato membro di non trattare la società estera come Cfc se non oltre un terzo dei suoi redditi (e non dei suoi proventi) rientra nei “passive income”. È quindi prevedibile un rilevante incremento dei contribuenti che, per disapplicare la Cfc, dovranno dare prova della sussistenza delle esimenti di cui al comma 5 dell’articolo 167.

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