Rimborsi forfettari ai dipendenti non tassati solo per spese «identificate»
Il rimborso spese al dipendente è escluso da tassazione solo se così dispone la norma o se riguarda spese, sostenute dal lavoratore, individuate sulla base di elementi oggettivi e documentalmente accertabili.
Malgrado il primo periodo del primo comma dell'articolo 51 del Tuir disponga che «il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro», l’eventuale esclusione da tassazione del rimborso delle spese sostenute dal lavoratore dipendente nell’espletamento del suo incarico dipende dalla presenza di una delle due seguenti condizioni: in caso di rimborso forfettario, se esso è escluso da tassazione e da contribuzione in base a una specifica normativa; in caso, invece, di rimborso spese in modo non forfettario, se tali spese sono individuate sulla base di elementi oggettivi e documentalmente accertabili.
È quanto si evince dalla lettura della risoluzione n. 74/E emanata il 20 giugno 2017 dall’agenzia delle Entrate nella quale viene analizzato l’assoggettamento o meno a tassazione e contribuzione, da parte del datore di lavoro, del rimborso delle spese telefoniche e di traffico internet sostenute dal singolo dipendente.
Nel caso specifico l’istante rimborsa ai propri dipendenti una somma pari al 50 per cento della spesa da essi sostenuta per il traffico telefonico e il traffico dati, affermando che, siccome il telefono «rientra fra gli strumenti necessari per lo svolgimento dell’attività lavorativa», il rimborso, da parte del datore di lavoro, di un importo che corrisponde, appunto, al 50 per cento delle spese sostenute dal dipendente stesso, che rimane, comunque, libero di scegliere la compagnia con la quale stipulare il contratto e il tipo di contratto da porre in essere, «dovrebbe ragionevolmente essere considerato quale ristoro di un onere necessario per l’espletamento della prestazione lavorativa». In tale tipo di «entrata» per il dipendente, infatti, non è possibile, a detta sempre dell’istante, rinvenire un reddito.
Viene richiamata anche la Cassazione che, attraverso la sentenza n. 5081 del 1999, ha sostenuto che la forfettizzazione di un eventuale rimborso effettuato a favore di dipendenti che sono incaricati, nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte, di funzioni ispettive, non appare in contrasto con la determinazione dei reddito di lavoro dipendente stesso «in quanto la soluzione adottata dal datore di lavoro trae la sua origine dall’esigenza di semplificare il controllo dell’inerenza, senza tuttavia incidere sul carattere risarcitorio del rimborso stesso».
L’agenzia delle Entrate, sempre nella risoluzione 74/E/2017, non risulta essere d’accordo sulla tesi esposta dall’istante per i motivi visti sopra. Dopo aver richiamato, dunque, il principio di onnicomprensività contenuto nel primo periodo del primo comma del citato articolo 51 del Tuir, va a chiarire, in linea generale, che anche le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore a titolo di rimborso spese costituiscono, per quest’ultimo, reddito di lavoro dipendente, salvo quanto previsto da specifiche norme per le trasferte e i trasferimenti.
Possono poi essere esclusi da imposizione quei rimborsi che riguardano spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro, anticipate dal dipendente per snellezza operativa.
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