Rottami d’oro ceduti in reverse: al Fisco la prova contraria
La Ctr Puglia 339/4/2020 sulla cessione di beni da parte di una ditta di “compro oro”
Qualora un operatore economico ceda beni in oro qualificati come “rottami” a società di lavorazione e trasformazione, con conseguente applicazione del regime del reverse charge (articolo 17, comma 5, del decreto Iva, cioè del Dpr 633/1972), l’Agenzia non può contestare la mancata applicazione dell’Iva sulle vendite in base a generiche presunzioni, senza puntuali riscontri in merito alla effettiva natura dei beni ceduti e sulla effettiva destinazione del materiale acquistato alla fusione/trasformazione. A dirlo è la Ctr Puglia con la sentenza 339/4/2020 (presidente De Bari, relatore Di Carlo).
Da quanto emerge dal testo della sentenza, la controversia concerne una ditta individuale operante nel settore dei “compro oro”. Nell’ambito della propria attività, la ditta acquistava beni in oro sia da privati cittadini sia da altri “compro oro” per poi rivenderli a fonderie o aziende specializzate nel recupero di metalli preziosi. Qualificando i beni compravenduti alla stregua di “rottami” (dicitura puntualmente indicata in fattura), la ditta applicava a tali vendite il regime del reverse charge previsto dall’articolo 17 del Decreto Iva. A seguito di un controllo effettuato con riferimento all’anno 2008, l’agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento con il quale contesta questo modo di operare della ditta. In particolare, l’Agenzia ritiene che i beni compravenduti andassero qualificati semplicemente come beni usati (e non “rottami”) e che le cessioni fossero avvenute in favore di società non esclusivamente dedite alla fusione e trasformazione del materiale (con conseguente difetto di prova della effettiva destinazione dei beni a una lavorazione industriale). Su queste basi, viene contestata alla ditta individuale l’omessa applicazione dell’Iva sulle fatture di vendita.
Il contribuente impugna l’avviso di accertamento e ottiene ragione sia in primo grado sia in appello. Quanto alla qualificazione dei beni ceduti quali beni usati anziché “rottami”, la Ctr censura la condotta dell’Agenzia che, nel caso in esame, sembra giungere a tale conclusione in assenza di alcun riscontro concreto, ma solamente sulla base del ragionamento presuntivo secondo cui i “compro oro”, anche adeguandosi alle richieste delle fonderie, sarebbero dediti a alterare l’originaria natura dei beni venduti a favore di una destinazione ad uso industriale; e ciò principalmente al fine di eludere l’applicazione del regime di imponibilità Iva con assolvimento dell’imposta secondo le regole ordinarie, per ottenere il più favorevole regime del reverse charge.
Secondo la Ctr, la genericità di tale assunto non può essere posta a fondamento del recupero, anche in considerazione del fatto che, nel caso in esame, tutte le fatture di vendita dei beni erano indirizzate a società specializzate proprio nella trasformazione di materiali preziosi, anche se non in via esclusiva. Né, concludono i giudici, si può pretendere che sia il venditore a dover provare che il cessionario abbia effettivamente destinato il materiale acquistato alla fusione/trasformazione e non, come sembra ipotizzare l’Agenzia, direttamente alla commercializzazione dell’usato.