Se c’è il magazzino «salva» la detrazione Iva
Nell’ambito delle
In ogni caso tale prova, per quanto importante, va valutata alla luce della attività complessivamente considerata, nonché in funzione di ulteriori elementi caratterizzanti il rapporto tra fornitore e cliente. A dirlo sono due sentenze dell’8 giugno, la 2569/25/17 e la 2574/25/17 , entrambe emesse dalla Ctr della Lombardia (Sezione di Brescia).
Si tratta di conclusioni che vanno calate nell’ambito di determinate attività (tipicamente la compravendita di beni o di merce) per le quali possa considerarsi normale ed usuale l’uso di magazzini, capannoni e similari.
Nell’ambito della fatture soggettivamente inesistenti la Corte di giustizia fornisce un preciso inquadramento sull’onere della prova a carico dell’amministrazione finanziaria, dettando allo stesso tempo precisi limiti all’obbligo di verifica e di controllo a carico del contribuente sulla “bontà” dei propri fornitori.
Sul fronte dell’obbligo di verifica da parte del contribuente accertato, per previsione della sentenza “Kitter – Recolta” (cause riunite c-439/04 e c-440/04), quanto viene richiesto dai contribuenti, ai fini della detrazione Iva, è semplicemente che essi adottino «le misure che si possono ragionevolmente richiedere» loro. Laddove adottino tali ragionevoli misure, quindi, gli stessi «devono poter fare affidamento sulla liceità di tali operazioni senza rischiare di perdere il diritto alla deduzione dell’Iva pagata a monte». Al contribuente è richiesto quindi solo di dimostrare – una volta che l’amministrazione abbia fornito fondate prove oggettive a suo carico – che il proprio fornitore, scoperto ex post operante “in frode alla legge”, appariva, a una normale diligenza di valutazione, in linea con la generalità degli altri fornitori “sani”.
In ambito nazionale, la recente linea della Cassazione è ormai consolidata nel ribadire i contenuti espressi dalla Corte di giustizia. A titolo esemplificativo, si ricordano le sentenze 23560 del 20 dicembre 2012, che fa riferimento all’ «uso dell’ordinaria diligenza«, e la 239/2014, secondo cui il contribuente deve effettuare le verifiche sulla base della prassi economica del settore in cui esercita l’attività.
Le due sentenze lombarde si inseriscono in questo solco, confermando la necessità di controlli “light” da parte del contribuente “a valle” sui propri fornitori. In entrambi i casi, la dimostrazione dell’esistenza di un capannone /magazzino in capo al fornitore ha assunto un ruolo essenziale.
Nel contenzioso deciso con la sentenza 2574 è stata ritenuta sufficiente la dimostrazione del contribuente che il fornitore – una società di capitali - «non era soggetto completamente privo di organizzazione», potendo usufruire «di un magazzino in locazione, con correlata utenza Enel, utilizzato anche come ricovero dei propri automezzi».
Nella vertenza di cui alla sentenza 2569, è risultato determinante il fatto che il contribuente avesse documentato la disponibilità, in capo al fornitore (una ditta individuale) «di un capannone… come da visura camerale e fotografie prodotte». Tale prova è stata ritenuta sufficiente a dimostrare la buona fede del contribuente, ancorché l’attività del fornitore fosse stata svolta, nel corso degli anni, con denominazioni differenti, pur facenti sempre capo allo stesso imprenditore individuale.
Ctr Lombardia, sezione di Brescia, sentenza 2569 dell’8 giugno 2017
Ctr Lombardia, sezione Brescia, sentenza 2574 dell’8 giugno 2017