Se la derivazione rafforzata esclude la rilevanza dei bitcoin
L’agenzia delle Entrate equipara i bitcoin (e le criptovalute in genere) alle valute estere da un punto di vista tributario. La posizione è contenuta nella risoluzione 72/E del 2016 e nel più recente interpello 956-39/2018 (commentato sul Sole 24 Ore del 21 aprile).
Si tratta di un’interpretazione criticabile (si veda Il Sole 24 Ore del 23 aprile e del 21 maggio scorsi) rispetto alla quale le voci contrarie trovano ulteriore supporto nell’ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria 01/2018 di Banca d’Italia, che ha iniziato a utilizzare il termine «criptoattività», con ogni probabilità per marcare la distanza tra valute virtuali e valute a corso legale. Tale posizione si inserisce nel percorso delineato dal Financial stability board e dal Parlamento europeo che nell’approvare la V direttiva antiriciclaggio ha cristallizzato la definizione contenente la frase «non possiede lo status giuridico di moneta o valuta».
Nonostante il paradigma internazionale ed europeo, la prassi delle Entrate in Italia assimila i bitcoin alle valute virtuali a tutto tondo, con valutazione rilevante ai fini fiscali, secondo il cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio. Ciò comporta la partecipazione al reddito di impresa degli eventuali differenziali valutativi alla fine dell’anno.
L’analisi dalla prospettiva dei principi contabili porta a una prima distonia, dato che i bitcoin non possono essere iscritti quale attività monetaria in bilancio. L’articolo 2426 del Codice civile opera, per le definizioni, un rinvio ai principi contabili internazionali adottati in Unione europea e chiama in causa, quindi, il principio Ias 21.8 che indica quali elementi monetari le «unità di valuta possedute e attività e passività che devono essere incassate o pagate in un numero di unità di valuta fisso o determinabile».
Il principio contabile Oic 14 sottolinea che le disponibilità liquide devono presumersi essere immediatamente utilizzabili per qualsiasi scopo della società (conformemente ai principi contabili internazionali): tale caratteristica non può essere riconosciuta ai bitcoin, notoriamente accettati su base volontaria e senza nessuna garanzia di accettazione (si vedano i documenti della Banca d’Italia del 16 marzo 2018 e la sentenza della Corte di giustizia Ue C-264/14).
Inoltre, la disponibilità di criptovalute non determina un credito, non essendovi il debitore né alcuna possibilità di ottenere da terzi alcun pagamento in valuta a corso legale; con il che, le monete virtuali risultano incompatibile con la nozione “contabile” di disponibilità liquide.
La classificazione, in linea con quanto indicato dai principi Oic 7 (certificati verdi) e Oic 8 (certificati bianchi), seguirà un approccio sostanziale distinguendo tra coloro il cui oggetto di attività è la “estrazione” e/o commercializzazione da coloro che li usano come mezzo di scambio e/o investimento. I primi indicheranno i bitcoin seguendo una logica di costi, ricavi e rimanenze, mentre i secondo quali altri titoli del circolante. I principi contabili conducono verso un approccio prudente che si basa sul minore tra il costo e il presumibile valore di realizzo sul mercato, soluzione che è in linea con tutte le numerose avvertenze dei regolatori europei e nazionali.
La soluzione proposta dall’Agenzia – in termine di parificazione dei bitcoin alle valute estere – si scontra con il disposto dell’articolo 83 del Tuir, che prevede il principio di derivazione rafforzata per i soggetti che hanno adottato i principi contabili Ias e Oic, con susseguente deroga delle disposizioni del Tuir bilanci redatti in conformità alle disposizioni del Codice civile ed in particolare per i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai rispettivi princìpi contabili.
È di immediata percezione come sia possibile il rischio di doppia interpretazione secondo la tipologia di impresa, qualora l’assimilazione a valute estere fosse mantenuta: le microimprese che non seguono i principi contabili, le ditte individuali e le società di persone potrebbero dover considerare i bitcoin quali valute estere con rilevanza tributaria delle valutazioni di fine anno, mentre tutte le società che adottano i principi contabili nazionali o internazionali (Oic o Ias adopter) non devono seguire tale assimilazione, per impedimento dei principi contabili.