Controlli e liti

Si può chiudere dall’accertamento al ruolo

di Luigi Lovecchio

Se il profilo soggettivo della definizione appare piuttosto delimitato, l’aspetto oggettivo, relativo all’individuazione degli atti impugnati, è molto ampio. La circolare n. 22 ha al riguardo correttamente osservato che, a differenza delle precedenti sanatorie (ad esempio, articolo 16, legge n. 289/2002), nella disciplina attuale non è posta alcuna condizione in ordine alla qualificazione del provvedimento oggetto di ricorso. Può dunque trattarsi sia di atti propriamente impositivi sia di atti aventi una funzione liquidatoria. Esempi del primo tipo sono l’avviso di accertamento e l’iscrizione a ruolo derivante da controllo formale ex articolo 36 ter, Dpr 600/73. Appartengono invece alla liquidazione, tra gli altri, le iscrizioni a ruolo relative a imposte dichiarate e non versate (articolo 36 bis, Dpr 600/73) e quelle derivanti da sentenze passate in giudicato. Entrambe le tipologie possono quindi fruire delle agevolazioni di legge.

Proprio l’ampiezza della formulazione di legge parrebbe consentire di ritenere ugualmente attratte alla procedura le impugnazioni degli atti attinenti alla fase cautelare o esecutiva della riscossione coattiva, emessi da Equitalia. Si pensi, ad esempio, ai ricorsi avverso i fermi amministrativi o le intimazioni di pagamento susseguenti all’affidamento del carico tributario da parte dell’agenzia delle Entrate. In tali ipotesi, vale ricordare (si veda l’altro pezzo in pagina), è corretto notificare il ricorso all’ente creditore qualora si intenda contestare la legittimità della procedura adottata. Si pensi ad esempio al ricorso proposto contro un preavviso di fermo amministrativo in relazione al quale il contribuente lamenti la mancata notifica dell’atto di accertamento esecutivo propedeutico ad esso. In questo caso, secondo il costante orientamento della Suprema Corte, è senz’altro conforme a legge trasmettere il ricorso alle Entrate poiché si contesta la stessa debenza della pretesa. Ne consegue che risulterebbero rispettate tutte le condizioni di legge per beneficiare della definizione: impugnazione di un atto relativo alla materia tributaria in un procedimento in cui è parte l’Agenzia delle Entrate. Ma a ben vedere i medesimi requisiti di legge sarebbero integrati in tutti i casi in cui il contribuente, a torto o a ragione, abbia provveduto a impugnare l’atto cautelare o esecutivo chiamando in causa le Entrate.

Nella situazione qui ipotizzata si pone però il problema della individuazione del quantum dovuto ai fini della definizione. Nella circolare 22 è precisato che a tale scopo occorre assumere «tutti gli importi spettanti all’Agenzia delle Entrate, richiesti con l’atto impugnato». Ne deriva che, al contrario, non bisogna considerare le somme di competenza dell’agente della riscossione, quali ad esempio l’aggio e le spese delle procedure esecutive. Non è chiaro tuttavia come conteggiare gli interessi da pagare, riferiti al sessantesimo giorno successivo alla notifica dell’atto, con esclusione degli interessi di mora. A stretto rigore, occorrerebbe far riferimento solo agli interessi maturati dalla data della notifica, vera o presunta, dell’atto propedeutico all’affidamento del carico a Equitalia (avviso di accertamento o cartella di pagamento). Sul punto, occorre un chiarimento ufficiale.

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