Controlli e liti

Società di comodo, interpello con prove sull’impossibilità di conseguire ricavi

di Massimo Romeo


Il mero protrarsi per molti anni dell’inagibilità di un immobile non può configurarsi come circostanza oggettiva che giustifica la disapplicazione della normativa antielusiva sulle società di comodo, in mancanza di prove puntuali e documentate che comprovino l’impossibilità di conseguire dei ricavi. La dimostrazione per ottenere la disapplicazione deve consistere in documenti che comprovino situazioni «oggettive e straordinarie» che ostacolino il raggiungimento delle soglie individuate dalla legge. È uno dei principi dalla sentenza della Ctr Lombardia 276/15/2019 del 18 gennaio ( clicca qui per consultarla ).

La vicenda
Il caso giunto all’attenzione dei giudici tributari milanesi riguardava l’impugnazione da parte di una società di capitali, operante nel settore immobiliare, del rigetto da parte dell’Amministrazione Finanziaria dell’istanza di disapplicazione della normativa sulle società di comodo. I giudici di prime cure accoglievano il ricorso sia in punto di diritto, decidendo per l’autonoma impugnabilità di tale istanza in virtù di un’interpretazione estensiva dell’articolo 19 del rito tributario, che nel merito, ritenendo che dai documenti prodotti emergesse che la non operatività non fosse stata una scelta del contribuente ma una situazione di fatto, non dipesa dalla volontà dell’imprenditore, che aveva reso impossibile il conseguimento di maggiori ricavi.

In sostanza la ricorrente, proprietaria di tre immobili (una palazzina e due terreni agricoli), concedeva in locazione la palazzina a una società che veniva in seguito ammessa al concordato preventivo. La locazione veniva , pertanto, risolta, ma, considerato il pessimo stato della stessa e l’esistenza di un’ipoteca volontaria, vi erano scarse possibilità di venderla.

La decisione
Il collegio regionale decide di ribaltare la decisione di primo grado con una motivazione che pone l’accento sull’onere probatorio in tema di disapplicazione di norme antielusive.
Preliminarmente ed in punto di diritto la Ctr rammenta, circa la questione dell’impugnabilità delle risposte emesse a seguito di interpello, che tale istituto è stato revisionato dall’articolo 6, comma 1, del Dlgs 156/2015 prevedendo (dal 2016) una specifica disciplina legislativa secondo cui le risposte alle istanze di interpello (ex articolo 11 della legge 212/2000) non sono impugnabili, ad eccezione delle risposte alle istanze presentate ai sensi del comma 2 del medesimo articolo (istanze di disapplicazione di norme antielusive) avverso le quali può (facoltà) essere proposto ricorso unitamente all’atto impositivo. La Suprema corte, sul punto, ha avuto modo di precisare che la citata disposizione non ha valenza interpretativa ma di ridisciplina di tale istituto, disponendo, pertanto, per l’avvenire; il Collegio, per tale motivo e per il caso di specie, respinge l’eccezione preliminare dell’Ufficio, stante il carattere irretroattivo della modifica normativa.

Quanto, invece, al merito della controversia i giudici rammentano la ratio antielusiva della norma sulle società di comodo ovvero disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale. Il meccanismo deterrente, come da insegnamento dei giudici delle leggi, consiste nel fissare un livello minimo di ricavi e proventi correlato al valore di determinati beni patrimoniali, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico (presunzione) della natura non operativa della società. Determinante, chiosa il collegio, è la prova contraria che il contribuente è tenuto a fornire la prova contraria, dimostrando l’esistenza di «oggettive situazioni di carattere straordinario», specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto; impossibilità da intendere non in termini assoluti quanto piuttosto economici, considerando le effettive condizioni di mercato.

Applicati tali principi alla fattispecie concreta la Ctr rileva la carenza di prove contrarie (esclusivamente incarico ad altra società per l’affitto, note e appuntamenti per riduzione canone) affermando che il presupposto all’articolo 30 della legge 724/1994 (particolari situazioni oggettive e straordinarie) non risultava soddisfatto in quanto «il mero protrarsi per molti anni dell’inagibilità di un immobile µon può configurarsi come circostanza oggettiva, che giustifica la disapplicazione della normativa antielusiva».

Ctr Lombardia, sentenza 276/15/2019

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