Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte con la vendita fittizia
Commette sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte l’imprenditore che, dopo aver ricevuto gli avvisi di accertamento, vende il proprio complesso immobiliare alla dipendente restando ad abitarvi. A precisarlo è la Corte di cassazione con la sentenza 38834, depositata ieri.
Un imprenditore riceveva due avvisi di accertamento, a seguito dei quali l’agenzia delle Entrate, temendo un pericolo per la riscossione, otteneva dal presidente della competente Ctp iscrizione ipotecaria su un complesso immobiliare di proprietà. Tuttavia, pochi giorni prima della decisione dei giudici tributari sulla richiesta di iscrizione del vincolo da parte dell’amministrazione, gli immobili erano venduti ad una dipendente dell’imprenditore.
Il mutuo che gravava su di essi era accollato dall’acquirente, per un importo annuo corrispondente al proprio stipendio. Il venditore manteneva la residenza in uno degli immobili e la dipendente non acquisiva mai il godimento dei beni. Veniva, così, ipotizzata la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (articolo 11 del Dlgs 74/2000), per la quale l’imputato era condannato in primo ed in secondo grado.
La difesa ricorreva per cassazione lamentando, tra l’altro, che la vendita era stata eseguita con accollo del mutuo e che, quindi, non vi era stata alcuna diminuzione patrimoniale, semmai un miglioramento della posizione dell’imputato. Il fatto che l’acquirente non potesse sostenere il pagamento del mutuo non escludeva che altri avessero prestato adeguate garanzie, altrimenti la banca non avrebbe mai liberato l’originario mutuatario.
Il mancato spostamento della residenza dell’immobile venduto non provava che l’imputato avesse continuato ad averne la disponibilità e, in ogni caso, la crisi di impresa giustificava la vendita. Da ultimo, secondo la difesa, se fosse stato veritiero il disegno criminoso ipotizzato, sarebbe stata singolare l’estraneità dell’acquirente al procedimento penale, avendo concorso negli illeciti. La Corte ha così respinto il ricorso.
Secondo i giudici, infatti, l’alienazione degli immobili ha determinato oggettivamente la diminuzione del patrimonio dell’imputato, frustrando la sua funzione di garanzia del credito erariale. Nello specifico la vendita non ha consentito all’amministrazione di iscrivere ipoteca di primo grado, come disposta dal presidente della commissione tributaria provinciale.
L’accollo residuo del mutuo da parte dell’acquirente era irrilevante, in quanto questa modalità di pagamento non aveva determinato in concreto alcun vantaggio a favore dell’amministrazione. Anche la paventata eventuale infondatezza della pretesa erariale non era fondata, perché l’oggetto giuridico del reato contestato non è il diritto di credito del fisco ma la garanzia data dai beni dell’obbligato, potendo addirittura ipotizzarsi il delitto se a seguito del compimento degli atti fraudolenti avvenga il pagamento delle imposte. Da ultimo, è stato anche ritenuto che fosse del tutto irrilevante, rispetto alle responsabilità penali dell’imprenditore, il mancato coinvolgimento nel procedimento penale da parte dell’acquirente dell’immobile.
Cassazione, sentenza 38834/2018