Contabilità

Spa e Srl, recesso del socio in cerca di confini certi

di Angelo Busani

L’attribuzione del diritto di recesso al socio di società di capitali che sia dissenziente rispetto a talune decisioni assembleari oppure che non abbia partecipato all’assemblea in cui esse sono state adottate è senz’altro uno degli approdi più significativi della riforma del diritto societario del 2003 rispetto al panorama normativo previgente, nel quale il recesso era confinato in un remoto contesto di assoluta eccezionalità. Diritto di recesso significa che il socio può chiedere alla società la liquidazione della sua partecipazione e ricevere quindi una somma di danaro di valore pari alla quota di partecipazione al capitale sociale dal medesimo rinunciata. In sostanza, qualora ne ricorrano i presupposti, la legge procura al socio una via d’uscita dalla società senza che egli subisca una diminuzione patrimoniale.

Si tratta, dunque, di una situazione che assume particolare rilevanza nelle società non quotate ove, in assenza di una possibilità di recesso (come accadeva prima del 2004) al socio che non condividesse più le scelte compiute dalla società partecipata non restava altra alternativa che rimanere “prigioniero” della società stessa o cedere le sue partecipazioni; ma, in quest’ultimo caso, senza che per la società e gli altri soci vi fosse alcun obbligo di acquisto (come avviene oggi), con la conseguenza che per uscire dalla società non solo bisognava disporre di un compratore ma, nel caso in cui un compratore vi fosse, bisognava subire le sue condizioni di acquisto e, quindi, il prezzo che da questi veniva “imposto”; ciò che oggi non può più accadere perché il prezzo di liquidazione del socio recedente deve essere inderogabilmente pari al fair value delle partecipazioni per le quali il recesso viene esercitato.

D’altro canto vi è però da osservare cosa accade sul lato della società da cui il socio non consenziente vuol recedere. Come detto, occorre che la società si faccia carico della liquidazione del socio, se nessun altro socio (o anche un terzo estraneo alla compagine sociale) non si offra di acquistare le partecipazioni del recedente. Ma obbligo della società di liquidare il socio significa anzitutto, per la società che abbia le risorse patrimoniali sufficienti per farvi fronte, subire comunque un depauperamento, di misura grande o piccola a seconda dell’entità della partecipazione da liquidare; ma significa, soprattutto, dover giungere all’estrema soluzione della liquidazione della società medesima, se mancano le risorse sufficienti per effettuare la liquidazione del socio recedente e nessuno acquisti la sua quota di partecipazione.

Insomma, da evento di protezione per il socio dissenziente che voglia non restare imbrigliato in una società di cui non condivide più le decisioni, il recesso può trasformarsi in un evento che può portare alla distruzione stessa della società dalla quale il socio intende fuoriuscire.

Per questo (salvo che lo statuto della Spa o della Srl contenga un ampliamento dei casi di recesso, ciò che la legge comunque consente di effettuare liberamente) le situazioni in cui il socio dissenziente può chiedere di fuoriuscire dalla società sono limitate e tassative (le elenca l’articolo 2437 del codice civile per la Spa e l’articolo 2473 per la Srl).

Talune di esse sono di immediata percezione. Ad esempio, si pensi alle decisioni assembleari che comportano una significativa modifica della clausola dell’oggetto sociale, la trasformazione della società, il trasferimento della sede sociale all’estero, la revoca dello stato di liquidazione; oppure, alla decisione assunta dall’assemblea di una Srl di far corso alla fusione con un’altra società o a un’operazione di scissione.

Molto più complicato è invece stabilire cosa il legislatore abbia voluto significare, nel caso del recesso da una Spa, quando ha conferito il diritto di uscire dalla società al socio non consenziente rispetto alla deliberazione assembleare che introduca o rimuova limiti alla circolazione dei titoli azionari oppure che comporti modificazioni statutarie «concernenti i diritti di voto o di partecipazione».

Su quest'ultimo punto la Cassazione si è pronunciata per la prima volta con la sentenza 13875/2017 (si veda Il Quotidiano del Fisco di ieri ) : una pronuncia importante perché consente di “fare il punto” della situazione (probabilmente non definitivo, ma comunque dotato dell’ autorevolezza della giurisprudenza di legittimità) in una materia nella quale gli studiosi hanno formulato una vastissima serie di opinioni controverse.

Cassazione, sentenza 13875/2017

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