Adempimenti

Spazio al lavoro a chiamata ma aumentano i vincoli

di Giampiero Falasca

Le soluzioni possibili per fronteggiare la scomparsa dei voucher sono tante, anche se emerge subito un tratto comune: aumenteranno i costi e le complessità gestionali, senza reali vantaggi per i lavoratori coinvolti.

Le imprese che oggi si avvalgono del lavoro accessorio dovranno attingere ai diversi strumenti contrattuali che la legge consente di utilizzare per esigenze discontinue o temporanee.

Il contratto apparentemente più simile al voucher è il lavoro intermittente, il rapporto nel quale il datore di lavoro può richiedere la prestazione solo quando ne ha bisogno, entro specifici limiti di tempo (massimo 400 giornate nel triennio, a eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo).

Questo contratto, tuttavia, è utilizzabile in via generale solo per alcuni lavoratori (quelli con età inferiore a 24 anni oppure superiore a 55), nonché nei casi - rarissimi- in cui esiste un accordo sindacale che prevede soglie diverse, oppure nei numerosi settori individuati dal regio decreto 2657 del 1923, tra cui rientrano, per esempio, camerieri, personale di servizio e cucina in alberghi e ristoranti, custodi, portinai.

Peraltro vale la pena ricordare che anche il lavoro intermittente tra il 2008 e il 2012 ha registrato una crescita notevole con correlate perplessità sulla regolarità delle prestazioni fornite dai dipendenti. Situazione a cui si è posto rimedio nel 2012 con l’introduzione della comunicazione obbligatoria al ministero del Lavoro prima di ogni “chiamata”, con la conseguenza che il ricorso a questa forma contrattuale si è in pratica dimezzato.

Come ulteriore alternativa al contratto a chiamata le imprese dovranno valutare caso per caso quale strumento si adatta maggiormente al tipo di attività che deve essere svolta: le collaborazioni autonome (quelle occasionali oppure quelle ordinarie, con partita Iva), la collaborazione coordinata e continuativa (a patto che sia compatibile con i limiti introdotti dal Jobs act), il contratto a tempo determinato, il part time e la somministrazione di lavoro a termine sembrano gli strumenti maggiormente indiziati a soddisfare i fabbisogni di manodopera occasionale delle imprese.

Il passaggio dal lavoro accessorio a ciascuno di questi strumenti contrattuali non sarà indolore, perché in tutti i casi i datori di lavoro dovranno gestire adempimenti più numerosi e più complessi (stipula del contratto, elaborazione di un cedolino paga o di un documento equivalente, comunicazioni obbligatorie, eccetera), senza che questa maggiore complessità produca un reale incremento di tutele per i lavoratori.

Per quanto riguarda le collaborazioni, inoltre, si dovrà fare particolare attenzione dato che se non si rispettano i nuovi limiti, peraltro di non facile interpretazione e applicazione, introdotti dal Jobs act sull’organizzazione da parte del committente, si rischia la trasformazione del rapporto in un contratto subordinato a tempo in determinato.

La situazione si presenta simile per le famiglie, anche se queste potrebbero avere maggiori difficoltà a sostenere l’impatto negativo dell’aumento di costi e della complessità gestionale.

Queste difficoltà potrebbero rimettere prepotentemente in gioco quella forma di impiego che il lavoro accessorio voleva limitare: il lavoro nero e irregolare.

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