Imposte

Sproporzionato attendere la chiusura di una procedura concorsuale per la nota di accredito

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di Michele Brusaterra


È sproporzionato attendere la conclusione di una procedura concorsuale per poter emettere una nota di variazione in diminuzione dell'Iva e dell'eventuale imponibile.

È questa la conclusione a cui arriva la Corte di giustizia europea, con la sentenza C-246/16 di recente emanazione, che analizza una questione sollevata dalla Commissione tributaria di Siracusa che ha chiesto se sia corretto far attendere un contribuente per più di dieci anni la conclusione, e quindi l'infruttuosità, come prescrive l'articolo 26 del Dpr 633/1972, di una procedura concorsuale a cui è stato assoggettato il debitore per poter recuperare l'imposta già a suo tempo versata all'erario.

La sentenza emanata, che è molto corposa, prende in considerazione la portata dell'articolo 90 della direttiva Iva 2006/112/CE, che al paragrafo 1 stabilisce che «In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l'operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri», mentre al successivo paragrafo 2 dispone che «In caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al paragrafo 1».

Si tratta di capire, quindi, qualora sia possibile porre in essere le deroghe considerate dal secondo paragrafo del citato articolo 90, e fino a che limite. Fa notare il giudice europeo che, per determinare le possibilità di rettifica, devono essere presi in considerazione sia il principio di neutralità sia i diritti fondamentali dell'imprenditore.

In merito a quest'ultimo, viene fatto notare che egli funziona da «collettore d'imposta» per conto dello Stato. In altre parole, egli incassa un'imposta che non è sua ma che deve versare, appunto, all'erario avendola raccolta per quest'ultimo. Da ciò deriva che l'imposta non può certamente gravare sull'imprenditore qualora essa non venga dallo stesso incassata.
L'ulteriore principio su cui si basa l'Iva è quello della cosiddetta tassazione nominale. L'imposta, infatti, diviene esigibile anche qualora il cliente non abbia provveduto a pagare la stessa al fornitore.

Afferma la Corte di giustizia, in merito a tale principio, che «Tale tecnica di esigibilità dell'imposta si basa chiaramente sulla presunzione secondo la quale, di solito, a seguito di una cessione o di un'altra prestazione il corrispettivo pattuito verrà versato in tempi brevi».

Nel caso in cui, quindi, il diritto sostanziale va a tassare il corrispettivo effettivamente pagato dal cliente mentre, al contrario, la tecnica impositiva «fa riferimento al corrispettivo pattuito», i due sistemi, afferma sempre la Corte, «devono, prima o poi, essere conciliati». Tale conciliazione viene proprio garantita dal già richiamato articolo 90 della direttiva Iva, che individua, per attuarla, la possibilità di rettificare l'imposta attraverso le note di variazione.

Premettendo che la formulazione del paragrafo 2 dell'articolo 90 citato, non consente un'esclusione totale della possibilità di rettifica dell'imposta parlando la norma europea di deroga a una rettifica immediata, secondo la Corte una responsabilità oggettiva del prestatore fino a una determinata data di riferimento che, nella fattispecie oggetto della decisione si aggancia alla conclusione della procedura concorsuale, «eccederebbe quanto necessario per garantire i diritti dell'erario».

Per tale motivo, l'onere di attendere la conclusione di una procedura concorsuale concernente il destinatario della prestazione costituisce «una limitazione sproporzionata».

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