Srl, conferimento in criptovalute alla ricerca di garanzie per i creditori
Il conferimento in criptovalute nel capitale di una Srl ha trovato un primo stop nel decreto del Tribunale di Brescia ( 7556 del 18 luglio 2018 ). La questione, però, resta attuale e non si esaurisce nell’analisi dei problemi di fondo connessi all’utilizzo della moneta digitale ma va collocato nel più ampio contesto della valutazione di idoneità delle criptovalute a costituire efficace garanzia per i creditori della società, nel momento in cui esse vanno a comporre il capitale di rischio ( si veda anche Il Quotidiano del Fisco del 31 luglio ).
La disamina di tale problema non può tuttavia prescindere dalla constatazione della moderna evoluzione del capitale sociale, la cui precipua funzione di garanzia verso il ceto creditorio sembrerebbe di fatto indebolita dai recenti interventi legislativi: si pensi in particolare alla possibilità di costituire società a responsabilità limitata in forma semplificata, con capitale minimo pari ad un euro.
Proprio il mutato quadro normativo ci induce ad interrogarci sui termini della effettiva persistenza della richiamata funzione primaria del capitale sociale e, conseguentemente, sulla possibilità di valutare l’apporto di criptovalute con minor scetticismo, tenuto peraltro conto del crescente utilizzo della moneta digitale nonché delle considerazioni positive che sono state ultimamente formulate a proposito dell’utilizzo di sistemi It, in termini di potenziale migliore efficacia della regolamentazione finanziaria: invero, in occasione del recente decimo anniversario del dissesto di Lehman Brothers, si è osservato che l’utilizzo di una blockchain a quei tempi avrebbe potuto costituire un utile strumento di monitoraggio delle attività finanziarie e dunque potenzialmente contribuire anche alla prevenzione dello stesso dissesto.
Premesso ciò, il provvedimento del Tribunale di Brescia non esclude in assoluto la conferibilità delle criptovalute nel capitale sociale, bensì si limita a censurare lo specifico conferimento sottoposto al vaglio dell’autorità giudiziaria, delineando contestualmente i presupposti di ammissibilità di un simile apporto: non si tratta dunque di un provvedimento aprioristicamente “ostile” verso la fattispecie di conferimento in discorso ma anzi ha il pregio di fornire utili indicazioni per gli operatori ai fini dell’eventuale legittimo utilizzo di tale strumento.
Più precisamente, la vicenda origina dal rifiuto del notaio rogante di provvedere all’iscrizione nel registro delle imprese della delibera assembleare con cui una società a responsabilità limitata aveva aumentato il capitale sociale anche attraverso il conferimento in natura di una data criptovaluta: in particolare, il notaio aveva precisato che, in ragione della relativa volatilità, le criptovalute «non consentono una valutazione concreta del quantum destinato alla liberazione dell’aumento di capitale sottoscritto», né tantomeno di percepire «l’effettività (quomodo) del conferimento».
A fronte del ricorso ex articolo 2436, comma 3, del Codice civile, proposto dall’amministratore unico della società interessata, l’autorità giudiziaria ha dunque in primo luogo precisato che «in questa sede non è in discussione l’idoneità della categoria di beni rappresentati dalle cosiddette criptovalute a costituire elemento di attivo idoneo al conferimento nel capitale di una Srl, bensì se il bene concretamente conferito […] soddisfi il requisito di cui all’articolo 2464, comma 2, del Codice civile» e quindi se esso sia o meno suscettibile di valutazione economica.
In tal senso, il Tribunale rammenta come il bene considerato – in ossequio alla storica funzione di garanzia del capitale sociale rispetto alle pretese creditorie – debba soddisfare almeno i seguenti requisiti essenziali:
•l’idoneità a costituire oggetto di valutazione in un dato momento storico;
•la connessa esistenza di un mercato di riferimento del bene in questione, necessario per assicurarne la conversione in denaro contante e per valutarne dunque il grado di liquidità;
•l’idoneità a divenire oggetto di aggressione da parte dei creditori sociali, mediante forme di esecuzione forzata.
Ebbene, il Tribunale bresciano evidenzia come nel esaminato il secondo requisito risulta non soddisfatto, in quanto «l’unico mercato nel quale [la criptovaluta in esame] concretamente opera è costituito da una piattaforma dedicata alla fornitura di beni e servizi […] riconducibile – secondo quanto dichiarato dalla ricorrente – ai medesimi soggetti ideatori della criptovaluta, nel cui ambito (invero assai ristretto) […] funge da mezzo di pagamento accettato: ne deriva, dunque, un carattere prima facie autoreferenziale dell’elemento attivo conferito, incompatibile con il livello di diffusione e pubblicità cui deve essere dotata una moneta virtuale che aspira a detenere una presenza effettiva sul mercato».
Inoltre, secondo l’autorità giudiziaria, la perizia di stima redatta ex articolo 2465 del Codice civile evidenzierebbe due ulteriori carenze, ossia:
■la difficile ricostruibilità dei criteri utilizzati dall’esperto per la determinazione del valore del conferimento (rilevando il Tribunale come il perito sembrerebbe essersi limitato ad aderire all’ultimo valore disponibile sul pertinente sito internet, peraltro il più alto fatto registrare dall’inizio della pretesa “quotazione”, in difetto di correttivi funzionali alla stabilizzazione del prezzo);
■la mancata soddisfazione pure del terzo requisito, stante l’assenza di qualsivoglia riferimento «alle modalità di esecuzione di un ipotetico pignoramento della criptovaluta oggetto di conferimento, profilo da ritenere decisamente rilevante nella fattispecie, alla luce della notoria esistenza di dispositivi di sicurezza ad elevato contenuto tecnologico che potrebbero, di fatto, renderne impossibile l’espropriazione senza il consenso e la collaborazione spontanea del debitore».
Così il Tribunale di Brescia ha rigettato il ricorso proposto dalla società, ritenendo che la moneta virtuale oggetto di esame risultasse in una fase ancora «sostanzialmente embrionale», in quanto priva dei «requisiti minimi per poter essere assimilata a un bene suscettibile in concreto di una valutazione economica attendibile».
Tribunale di Brescia, decreto 7556/2018