Stop alla sentenza d’appello che si limita a riprodurre quella di primo grado
Deve essere riformata la sentenza di secondo grado che si limita a recepire pedissequamente le conclusione del primo giudice. È nulla, quindi, la sentenza di merito che non si pronuncia sui motivi di censura formulati dall’agenzia delle Entrate con l’atto di appello. A ribadire questo principio è la Cassazione con l’ ordinanza 3999/2018 di ieri.
La sentenza di primo grado, che vedeva accolto il ricorso del contribuente ritenendo illegittimo l’avviso di accertamento, veniva confermata dalla Ctr. Contro la sentenza l’ufficio ha proposto ricorso in Cassazione censurando, in particolare modo, il vizio motivazionale avendo la Ctr spiegato la propria decisione richiamando esclusivamente il contenuto della sentenza della Ctp.
In particolare, l’eccepita nullità della sentenza veniva circostanziata nel fatto che i giudici non avevano preso minimamente in considerazione le argomentazioni avanzate dall’appellante alla statuizione di primo grado.
I giudici, nel ritenere fondato il ricorso e prima di affrontare specificatamente la questione, hanno ritenuto opportuno analizzare la norma applicabile alla fattispecie evidenziando, innanzitutto, la rilevanza che assume la motivazione della sentenza.
La Cassazione, proprio in considerazione che la motivazione è una delle parti essenziali della sentenza ed è a garanzia del principio del giusto processo, ha ritenuto violata la norma processuale poiché la sentenza della Ctr, riportandosi alle conclusioni della commissione provinciale, non ha consentito, non evidenziando gli elementi di fatto considerati, la disamina logico giuridica del comando giudiziale.
Nello specifico i giudici di legittimità criticano l’operato dei giudici sotto un duplice aspetto. Da un lato, evidenziano l’assenza di qualsiasi riferimento motivazionale volto ad illustrare le censure mosse dall’Ufficio appellante e, dall’altro, prendono atto della totale mancanza dell’iter argomentativo finalizzato a disattendere le censure avanzate dall’appellante.
La Corte, pertanto, ha accolto le ragioni dell’amministrazione finanziaria ravvisando l’avvenuta violazione da parte del giudice di merito dell’articolo 36 del Dlgs 546/1992.
Cassazione, ordinanza 3999/2018