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Successioni e donazioni, sì alla rendita castastale per immobili fuori inventario

Dichiarazione del valore dichiarato con la moltiplicazione della rendita catastale per i coefficienti di aggiornamento

di Angelo Busani

Quando è oggetto di successione ereditaria o di donazione una quota di società semplice, la quale sia proprietaria di beni immobili, il loro valore può essere dichiarato mediante la moltiplicazione della rendita catastale per i coefficienti di aggiornamento (e non secondo il loro valore venale), qualora la quota della società semplice non può essere valutata in base al suo ultimo inventario (ad esempio, perché mai compilato).

È questa la risposta a interpello 5 del 5 gennaio 2021 con la quale l’agenzia delle Entrate affronta per la prima volta il tema della valutazione dei beni immobili di proprietà di una società, quando una quota di partecipazione alla società stessa sia oggetto di donazione o successione e:

•si tratti di una società non azionaria;

•si tratti di una società priva di un «bilancio pubblicato» o di un «inventario» (il quesito rivolto alle Entrate riguardava in effetti una società semplice, ma la risposta si rende utilizzabile in relazioni a qualsiasi società per la quale ci si trovi nelle predette condizioni).

La norma che concerne la stima delle partecipazioni non azionarie oggetto di successione e donazione è contenuta nell’articolo 16 del Dlgs 346/1990 (il Tus, testo unico dell’imposta di successione e donazione) il quale sancisce che tali quote di partecipazione si debbono valutare in base:

a) al valore proporzionalmente corrispondente al valore (alla data della donazione o di apertura della successione) del patrimonio netto dell’ente o della società risultante «dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti»; ovvero:

b) in mancanza di bilancio o inventario, al valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti alla società.

Si pone, in quest’ultima ipotesi, il tema di come valutare i beni immobili. La regola generale (contenuta nell’articolo 14, Tus) è quella secondo la quale essi debbono stimarsi secondo il loro «valore venale in comune commercio».

Il problema è se questa norma, preordinata alla valutazione delle donazioni e delle successioni ereditarie aventi “direttamente” a oggetto beni immobili, si applichi anche alle donazioni e alle successioni ereditarie con un “indiretto” oggetto immobiliare, in quanto aventi come oggetto “diretto” una quota di partecipazione al capitale sociale di una società che è proprietaria (solo o anche) di beni immobili.

Sul punto le Entrate rispondono, dunque, che la regola è bensì quella del valore venale, ma che vi è da considerare la norma (l’articolo 34, comma 5, Tus) per la quale non sono sottoponibili a rettifica il valore degli immobili dichiarato in misura non inferiore al risultato che si ottiene moltiplicando la rendita catastale per il coefficiente di aggiornamento applicabile a seconda della tipologia dell’immobile caso per caso considerato (ad esempio, il coefficiente 126 per le abitazioni diverse dalla «prima casa», 63 per gli uffici, 42,84 per i negozi, 112,5 per i terreni). Con la precisazione che a questa regola si sottrae l’area edificabile, la quale deve essere valutata in ogni caso secondo il suo valore di mercato.

L’Agenzia infine sottolinea che l’interpretazione proposta va in coerenza con quanto affermato nella risoluzione 105/E del 20 agosto 1998 nella quale, con riferimento alle aziende oggetto di successione o donazione, l’amministrazione ha ritenuto valutabili con il criterio del valore catastale (e non, quindi, del valore venale) gli immobili facenti parte del compendio aziendale donato o trasmesso mortis causa.