Sul Registro serve l’aiuto della Consulta
Il tema del rapporto fra diritto tributario e diritto civile in merito all’imposta di registro non ha più il senso che aveva negli anni 30/50 soprattutto per l’impulso dato dalla scuola di Griziotti e di Vanoni.
È stato Antonio Berliri che ha rovesciato la situazione. La contrapposizione fra fattispecie formali e fatti economici non può essere intesa nel senso che non esistono pure vicende economiche che solo il diritto tributario prende in considerazione. La definizione civilistica non è una qualificazione fungibile con le altre, sicché da essa si possa prescindere dando ai termini civilistici un senso proprio della materia tributaria presupponendo un senso economico di cui l’espressione civilistica sia una delle possibili. Il che trova conferme nella giurisprudenza che interpretando l’articolo 19 del Dpr 634/1972, in tema di imposta di registro, ha stabilito che, già dalla legge di registro abrogata, l’imposta doveva essere applicata secondo la natura e il contenuto giuridico dell’atto, desumibile esclusivamente dalle sue clausole. La precisazione contenuta nell’articolo 19, secondo la quale ai fini della qualificazione dell’imposta, privilegia gli effetti giuridici dell’atto, chiarendo che tali effetti devono considerarsi sotto il profilo giuridico (Cassazione 44994/1991 – 5026/1911 – 2633/1983).
La qualificazione degli effetti come giuridici ha significato un definitivo chiarimento storico rispetto alla formulazione della vecchia legge di registro (articolo 8 Rd 3269/1923) che poteva far pensare che si dovesse far riferimento a una disciplina tributaria, ai cosiddetti effetti economici e ai risultati perseguiti dalle parti, indipendentemente dalla formulazione dell’atto. In questo modo sorge un insolubile problema interpretativo, quello della distinzione tra effetti economici ed effetti giuridici.
L’articolo 20 del Dpr 131/1986 dispone che «l’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti anche se non vi corrisponda il titolo apparente».
L’articolo 20 del Dpr 131/1986 e l’articolo 20 come riformulato dalla legge 205/2017 danno una diversa formulazione. La seconda legge introduce due limiti che prima non esistevano. C’è da chiedersi il perché questa diversità. La relazione illustrativa della legge 205/2017 assegna il compito di chiarire il criterio della natura e degli effetti che devono essere presi in considerazione ai fini della registrazione. L’articolo 1, comma 87 dichiara espressamente di apportare alcune modificazioni all’articolo 20 del Dpr 131/1986. L’articolo 20 previgente imponeva che la tassazione avvenisse sulla base di elementi che oggi vengono espressamente esclusi.
Ne consegue che l’articolo 1 della legge 205 non ha natura interpretativa sicché gli atti antecedenti alla sua entrata in vigore continuanno a essere assoggettati all’imposta di registro secondo la precedente formulazione dell’articolo 20 del Dpr 131/1986. Così ha deciso la Cassazione (2007/2018).
La tesi interpretativa mi sembra trovare qualche difficoltà in base alle seguenti obiezioni. Le leggi tributarie non hanno effetto retroattivo anche se hanno lo stesso oggetto. Le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono (articolo 3 della legge 212/2000).
La considerazione unitaria può essere fatta solo dal punto di vista storico-politico e si può discutere sulla ragionevolezza della innovazione fatta della legge 205/2017. Non si può considerare unitaria una serie di leggi che perseguono lo stesso interesse ma sono formalmente distinte.
Non è la prima volta che una legge tributaria innovativa fa salvi gli effetti già prodotti. È un vizio consolidato per ragioni fiscali. Ma se la legge è costituzionalmente viziata per irragionevolezza si può ricorrere alla Corte costituzionale per violazione dell’articolo 3. E tale mi sembra la legge qui in discussione. Solo la Corte può avere la forza politica per raddrizzare la situazione. Questa soluzione discende dallo svolgimento storico che ha preceduto la legge in esame. Una interpretazione adeguatrice formulata da qualche commissione tributaria e destinata ad essere sconfessata dalla giurisprudenza della Cassazione.