Controlli e liti

Sulle violazioni al plafond Iva sanzioni severe dalla Cassazione

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di Matteo Balzanelli e Massimo Sirri

Prosegue la linea dura della Cassazione sulle violazioni in materia di plafond degli esportatori abituali. Dall’errore più “innocuo”, com’è quello di sbagliare l’indicazione in dichiarazione del metodo adottato per la determinazione del plafond, alla violazione più grave di chi effettua acquisti senza applicazione dell’imposta in mancanza dello status di esportatore abituale. In entrambe le ipotesi si tratta di violazioni che non resteranno impunite, come dimostrano due recenti interventi della Suprema corte che ribadiscono il rigido orientamento della giurisprudenza di legittimità.

Con ordinanza 14158 del 4 giugno, i giudici negano infatti che abbia valenza meramente formale l’errata indicazione in dichiarazione annuale del metodo di calcolo mensile (rapportato alle operazioni rilevanti dei 12 mesi precedenti), anziché di quello cosiddetto solare (correlato alle operazioni dell’anno precedente) concretamente utilizzato dal contribuente.

Ancorché si tratti di un errore che non ha causato alcun danno all’erario, esso è comunque idoneo ad arrecare pregiudizio all’azione di controllo dell’amministrazione finanziaria, con la conseguenza che la violazione è punibile, a norma dell’articolo 8 del Dlgs 471/97, con la sanzione fissa da 250 a 2 mila euro.

Assai più articolata la motivazione della sentenza 15835/2018, la quale afferma come l’indebito utilizzo del plafond per mancanza del requisito soggettivo (ma lo stesso potrebbe dirsi per un utilizzo eccedente quanto di spettanza) rappresenta una violazione sostanziale, non superabile in base al ragionamento, posto a fondamento della sentenza cassata, secondo cui, anche se fosse stata applicata l’Iva sugli acquisti (eseguiti invece in regime di non imponibilità), questa sarebbe stata detraibile, senza danni per l’erario. Il meccanismo del plafond costituisce, infatti, un limite alla “esecutività” del debito Iva sulle cessioni/prestazioni nei confronti dell’esportatore abituale, le quali beneficiano della non imponibilità non in quanto tali, ma solo perché esiste il particolare meccanismo e a condizione che sussistano i requisiti che ne determinano l’applicazione, a prescindere dalla buona fede dell’operatore. In mancanza delle condizioni di legge, ovverossia in mancanza dello status di esportatore abituale (o in caso di acquisti eccedenti il plafond disponibile), il cessionario/committente sarà pertanto tenuto a versare l’imposta e a pagare la sanzione proporzionale (dal 100 al 200% del tributo non applicato) prevista dall’articolo 7, commi 3 e 4 del Dlgs 471/97.

Tali conclusioni non sarebbero contrastabili né facendo leva sulla norma che prevede la detrazione dell’imposta addebitata in rivalsa a seguito d’accertamento (articolo 60, comma 7, Dpr 633/72), in quanto ipotesi estranea alla fattispecie, né in forza della giurisprudenza comunitaria (fra le altre, sentenze C-95/07 e C-96/07) che fa salvo il diritto di detrazione, quando sono rispettati i presupposti sostanziali per il suo esercizio, anche se non sono verificati alcuni requisiti formali, dal momento che, in caso di acquisti che violano la disciplina del plafond, ciò che è posto in discussione non è il diritto di detrazione.

Proprio perché inserita in un diverso contesto, la medesima giurisprudenza della Corte di giustizia Ue sarebbe altresì irrilevante, per la Cassazione, anche in relazione alla questione della mancanza di proporzionalità delle sanzioni irrogabili nel caso specifico.

Affermazione, questa, che desta qualche (forte) perplessità, visto e considerato che il principio secondo cui le sanzioni devono essere proporzionate alla gravità della violazione rappresenta un principio di portata generale, applicabile a tutte le fattispecie.

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