Transfer pricing, priorità al confronto interno
La determinazione del valore normale posto dall’amministrazione finanziaria alla base della rettifica delle componenti negative di reddito relative al transfer pricing deve essere applicato prioritariamente attraverso il metodo del «confronto interno del prezzo» basato sui listini e le tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi nel rapporto con un’impresa indipendente. È il principio che emerge dalla sentenza 6248/22/2017 della Ctp Milano del 7 novembre scorso (presidente Giucastro, relatore Dolci).
La vicenda
Il caso che i giudici milanesi si sono trovati sul tavolo traeva origine da una verifica fiscale sui prezzi di trasferimento in relazione a transazioni di acquisto di beni infragruppo all’esito della quale l’ufficio contestava alla ricorrente Srl , filiale italiana con capogruppo in Germania, l’indebita deduzione di componenti negativi di reddito ( articolo 110, comma 7, del Tuir ).
L’oggetto dell’attività era la commercializzazione dI materiali costruttivi refrattari per fonderie, prodotti dalla casa madre, che vendeva alla filiale italiana in base ad un listino prezzi ufficiale.
Secondo il dettato normativo, in ipotesi di operazioni internazionali infragruppo, la valutazione dei componenti negativi di reddito deve essere riferita al “valore normale” di mercato ovvero al prezzo o corrispettivo praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza, in deroga al principio generale in base al quale detta valutazione, ai fini impositivi, è legata ai corrispettivi pattuiti dalle parti della singola transazione commerciale.
In tali casi e secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale è l’amministrazione finanziaria che deve provare che nelle operazioni infragruppo il contribuente ha tratto un vantaggio economico manipolando i prezzi di trasferimento.
La società ricorrente eccepiva che:
•i prezzi di acquisto erano stati quelli stabiliti dal listino prezzi ufficiale della casa madre e praticati nei confronti di tutti clienti non traendo alcun vantaggio economico;
•il criterio prioritario previsto dalla norma è rappresentato dal valore che si ricava dai listini o dalle tariffe applicati dal soggetto che ha fornito i beni o servizi;
•non fossero applicabili al caso ai specie i criteri sussidiari individuati dalle linee guida Ocse e dalla circolare dell’Agenzia.
L’ufficio, dal canto suo, sosteneva la correttezza del proprio operato e dell’applicazione del metodo Tnmm (margine netto comparato) in luogo del metodo Cup ai fini dell’individuazione del livello di profitto “normale”; ciò in quanto la società verificata era distributore esclusivo in Italia dei prodotti che acquistava dalla casa madre e pertanto non esistevano società indipendenti italiane a cui la casa tedesca aveva venduto gli stessi prodotti.
La sentenza
Il collegio milanese preliminarmente sottolinea la ratio della norma (articolo 110, comma 7, del Tuir) quale «clausola antielusiva» finalizzata ad evitare che operazioni finanziarie infragruppo abbiano come unico o principale scopo quello di sottrarre utili all’imposizione fiscale in Italia trasferendoli in Paesi con tassazioni più favorevoli.
Quindi ripartisce l’onere probatorio all’ufficio, che deve provare lo scostamento tra il corrispettivo pattuito e quello di mercato, al contribuente, che deve fornire la prova della «non elusività» delle operazioni poste in essere.
Ai fini interpretativi la Commissione considera dirimente la corretta lettura del rapporto esistente tra la prima e la seconda parte dell’ articolo 9, comma 3, del Tuir (richiamato dall’ articolo 110, comma 7), che detta le regole sulla determinazione dei «valore normale»; ne deduce che il criterio che deve prioritariamente essere utilizzato per identificare il «valore normale» è quello del «confronto dei prezzo».
L’articolo 9 impone infatti di prendere in considerazione in via principale le tariffe ed i listini del venditore di beni e/o servizi e solo in caso di inapplicabilità o inattendibilità degli stessi sarà possibile fare riferimento in via residuale alle mercuriali e ai listini delle Camere di commercio. Nell’applicazione dei metodo del «confronto dei prezzi» - chiosa il collegio - si deve dare la precedenza al «confronto interno», basato sui listini e le tariffe dei soggetto che ha fornito i beni o servizi nel rapporto con un’impresa indipendente. Solo in seconda battuta l’ufficio può fare riferimento al «confronto esterno», cioè alle tariffe praticate in transazioni comparabili tra imprese operanti nello stesso mercato.
Nel caso in esame la ricorrente aveva prodotto ampia documentazione da cui si evinceva che i prezzi praticati alla controllata italiana erano identici a quelli applicati ad altre controllate con sede in Paesi stranieri.
Fissati i principi di diritto i giudici decidono di accogliere il ricorso in quanto erano state prodotte fatture emesse nei confronti di clienti estranei al gruppo, ma che operavano in mercati similari a quello italiano, da cui emergeva che i prezzi applicati erano addirittura superiori a quelli praticati nei confronti della controllata italiana.
Ctp Milano, sentenza 6248/22/2017