Trust autodichiarato a rischio sottrazione fraudolenta
Chi sia debitore del fisco e istituisca un trust, nominandosi al contempo trustee e beneficiario del trust stesso, commette il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ( articolo 11 del Dlgs 74/2000 ) a meno di non riuscire a giustificare le ragioni, diverse da quella di ostacolare la riscossione coattiva, che hanno motivato l’istituzione del trust. E non ci si può difendere adducendo che si tratta di un atto istitutivo di trust affetto da nullità, come tale non capace di avere efficacia. Lo decide la Cassazione penale nella sentenza 20862/2018 .
Il trust «autodichiarato» è una figura bensì prevista ed esistente negli ordinamenti anglosassoni e, come tale, può essere istituito e operare anche nel nostro ordinamento. Tuttavia, deve essere circondato di puntuali cautele e deve essere giustificato da particolarissime situazioni, in quanto la coincidenza tra il disponente e il trustee indubbiamente provoca una enorme apparenza di artificiosità. Ancor più evidente qualora il disponente si auto-nomini pure come beneficiario.
Infatti, se Tizio nomina se stesso come trustee, significa che nel patrimonio di Tizio si originano due sotto-insiemi tra essi impermeabili: quello che racchiude il patrimonio “generale” di Tizio e quello che racchiude la parte del patrimonio di Tizio destinata al trust. Perciò quest’ultimo sottoinsieme è definito come «patrimonio separato» e come «patrimonio destinato»: «separato» dal restante patrimonio del trustee e «destinato» al fine per il quale il trust è stato eretto. Si pensi alla vedova, madre di un minorenne, che vincoli in trust (nominandosene trustee) un appartamento e una somma di denaro, con l’obiettivo di preservare questi beni a beneficio del figlio: ad esempio, per garantirgli un’abitazione, un patrimonio e un reddito. Questi beni restano vincolati a tale destinazione, qualsiasi sorte abbia la madre e qualsiasi accadimento succeda ai beni del trust.
L’esempio appena accennato è sicuramente «meritevole di tutela», perché il trust, in questo caso, serve a proteggere gli interessi di natura personale e di natura economica del minorenne. La «meritevolezza di tutela» è la caratteristica che rende valido quel trust e che lo rende capace di originare, in capo al trustee, la separazione patrimoniale occorrente per “ospitare” il patrimonio destinato allo scopo per il quale il trust è stato istituito.
Infatti, nel diritto italiano, qualora si dà vita a un’attività giuridica che la legge non disciplina, l’articolo 1322 del codice civile lo consente con massima ampiezza, ma pretende che essa sia “meritevole di tutela” (in sostanza, si può fare tutto ciò che si vuole, a patto che si tratti di un’attività lecita, cioè non contraria alla legge, ai principi generali dell’ordinamento e alle regole della morale corrente in quel momento storico); e, con particolare riguardo all’istituzione di vincoli di destinazione nel proprio patrimonio, l’articolo 2645-ter del Codice civile pure pretende che si tratti di vincoli eretti con finalità «meritevoli di tutela».
Se, dunque, questa conclamata meritevolezza non vi sia, è facile che l’istituzione di un trust autodichiarato sia qualificabile in termini di nullità (ad esempio, perché attività contraria a norma imperativa, quale quella che reca il divieto di sottrarre il patrimonio al pagamento di imposte) o in termini di simulazione, che è il caso in cui si è inteso creare una situazione di mera apparenza.
In entrambe queste ipotesi, se si hanno imposte o sanzioni tributarie da pagare, il reato di cui all’articolo 11 del Dlgs 74/2000, è pressoché scontato, in quanto esso si configura in ogni caso in cui vi sia un’alienazione simulata di beni oppure una qualsiasi altra attività fraudolenta, vale a dire situazioni idonee a pregiudicare la riscossione coattiva.
Cassazione, sentenza 20862/2018