Controlli e liti

Una vera riforma della riscossione solo con il superamento dell’aggio

di Andrea Carinci

La data del 1° luglio segnerà la scomparsa di Equitalia e la nascita di un nuovo ente, che ne assumerà le vesti (e le funzioni), ossia Agenzia delle Entrate-Riscossione. È il cronoprogramma dettato dall’articolo 1 del decreto fiscale (Dl 193/2016) collegato alla manovra dello scorso autunno. Il rischio paventato è che un tale avvicendamento non sembra destinato ad incidere significativamente sulla vita dei contribuenti; e ciò, per l’assorbente ragione che i poteri, gli strumenti, il personale come pure gli obiettivi del nuovo ente resteranno i medesimi di Equitalia.

La preoccupazioni espressa da alcune parti è che non vi sarà alcuna modifica sostanziale nel modo di operare dell’agente della riscossione. Un argomento in tal senso è rintracciabile nel tema dell’aggio o, secondo la nuova formulazione introdotta da uno dei decreti attuativi della delega fiscale (Dlgs 159/2015) nell’«onere di riscossione». L’articolo 1 del Dl 193/2016, dedicato alla soppressione di Equitalia, non si occupa infatti di disciplinare le sorti di questo peculiare istituto; semmai, si limita a prevedere che lo statuto del nuovo ente dovrà indicare le entrate dell’ente, «stabilendo i criteri concernenti la determinazione dei corrispettivi per i servizi prestati a soggetti pubblici o privati, incluse le amministrazioni statali, al fine di garantire l’equilibrio economico-finanziario dell’attività, anche nella prospettiva di un nuovo modello di remunerazione dell’agente della riscossione». Indicazioni meramente programmatiche, soprattutto l’ultima, che non danno insomma alcuna indicazioni circa le sorti dell’aggio, il quale tuttavia dovrebbe essere seriamente rimeditato. L’aggio, come anche l’onere della riscossione che ne ha mutuato i caratteri salienti, costituisce invero un istituto foriero di enormi criticità, oltre a rappresentare una delle principali ragioni per cui Equitalia è tanto invisa ai contribuenti. Applicandosi come percentuale sul debito, comprensivo di imposte, sanzioni ed interessi, l’applicazione dell’aggio comporta un innalzamento della somma complessiva dovuta, in una misura che, nonostante i temperamenti introdotti (oggi la misura è stata portata al 6%), risulta comunque esorbitante. In una misura, peraltro, che cresce esponenzialmente con il decorrere del tempo, dal momento che la base di calcolo comprende anche gli interessi di mora. Soprattutto, in una misura che appare in ogni caso ingiustificata, posto che i costi vivi dell’azione esecutiva sono comunque oggetto di autonomo rimborso: se, come a suo tempo decretato dalla Corte Costituzionale (sentenza 480 del 30 dicembre 1993), l’aggio (e oggi gli oneri della riscossione) è giustificato in quanto concretamente correlato alla remunerazione al costo del servizio, è evidente che una misura proporzionale, parametrata alla sola entità del debito, non trova alcuna giustificazione. Così conteggiato, difatti, il costo della riscossione finisce per crescere in ragione semplicemente del la somma da riscuotere, indipendentemente dalle attività in concreto da intraprendere. Rispetto all’accertamento esecutivo, poi, l’irrazionalità dell’aggio appare ancora più manifesta, dal momento che qui non è neppure richiesta un’attività di preparazione e notificazione delle cartelle di pagamento. L’aggio, come gli oneri di riscossione appaiono oggi istituti anacronistici, ingiustificati nella loro previsione quanto intollerabili nella loro entità. Il problema è che l’aggio/gli oneri di riscossione costituiscono un’entrata che appare imprescindibile per la tenuta dei conti di Equitalia, oggi, e del nuovo ente domani, per cui sembra arduo ipotizzarne un superamento. Superamento che però deve intervenire, perché solo per questa via l’opinione pubblica saprà comprendere ed apprezzare l’accentramento delle due realtà, accertamento e della riscossione, in un solo soggetto e con essa il superamento, nei fatti e non solo nelle formule, di Equitalia.

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