Valore d’ingresso senza avviamento «estero»
Per la determinazione dei valori in ingresso ex articolo 166-bis del Tuir nella versione ante Atad si guarda al valore normale (articolo 9 del Tuir) e non è riconosciuta la rilevanza fiscale dell’avviamento autoprodotto all’estero. Sono questi gli importanti chiarimenti della risoluzione n. 92/E delle Entrate di ieri.
È utile in primis inquadrare il quesito formulato all’Agenzia, in quanto l’articolo 166-bis è stato dapprima introdotto dal Dlgs 147/2015 (decreto internazionalizzazione) e poi modificato col recepimento della direttiva Atad dal Dlgs 142/2018, con decorrenza dal 1° gennaio 2019. Nell’interpello, che riguarda una fusione per incorporazione in entrata da Paese white list perfezionatasi nel 2018, si richiede se:
il valore di ingresso delle attività e passività trasferite in Italia mediante la fusione possa considerarsi automaticamente coincidente col valore attribuito per la determinazione dell’exit tax dovuta nello stato estero, in quanto conforme all’arm’s length principle;
il disavanzo di fusione allocato ad avviamento abbia rilevanza fiscale.
L’agenzia delle Entrate rammenta che l’articolo 166-bis del Tuir è stato introdotto per individuare il valore d’ingresso degli asset dei soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia. L’originaria formulazione della norma (ante Atad) faceva riferimento al valore normale ai sensi dell’articolo 9 del Tuir. Poiché essa si riferiva letteralmente ai trasferimenti di sede, in chiave interpretativa è stato chiarito che il criterio del valore normale opera anche in ipotesi di entrata a seguito di fusione con una società italiana e a prescindere dal pagamento di una exit tax nello Stato di uscita (risoluzione 69/E/16). Pertanto il legislatore è rimasto neutrale rispetto alle vicende avvenute all’estero, compresa la exit tax, scegliendo il valore normale come criterio di misurazione in entrata. Così si prescinde dai plusvalori o minusvalori dei beni maturati all’estero e si riconoscono solo i plusvalori maturati in Italia. Peraltro, la natura inderogabile del valore normale è stata ribadita dalle Entrate anche nel corso di Telefisco 2019. Corollario di ciò è che non si può prendere il valore degli asset determinatosi all’estero in sede di exit tax né riconoscere automaticamente i valori correnti in uscita determinati a livello locale, anche se supportati da perizia. Quindi la coincidenza tra il valore normale e quello individuato ai fini dell’exit tax in uscita non è sempre verificata.
Circa la rilevanza fiscale dell’avviamento, l’Agenzia ricorda che il riferimento a tale posta è contenuto nel comma 4 a seguito delle modifiche apportate dall’Atad. Di conseguenza, nella formulazione precedente dell’articolo 166-bis non è fiscalmente rilevante l’avviamento autoprodotto all’estero, poiché lo stesso emergerebbe nel bilancio dell’incorporante e non sarebbe dunque riconducibile alle attività e passività del soggetto che trasferisce la residenza. Per le operazioni fino al 2018, quindi, l’avviamento non ha rilevanza a prescindere dal fatto che ci sia stato assoggettamento a exit tax. Quest’ultima lettura appare forse eccessivamente formalistica.
Agenzia delle Entrate, risoluzione 92/E/2019