Controlli e liti

Voluntary, risolvere i punti critici per dare più appeal alla misura

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di Valerio Vallefuoco

Il mutato assetto internazionale che ormai è orientato alla lotta dell’evasione tranfrontaliera in modo univoco e irreversibile attraverso l’utilizzo di modelli Ocse basati sulla trasparenza e sullo scambio di informazioni finanziarie tra Stati e il recepimento da parte di tutti gli Stati membri dell’Unione Europea della VI direttiva antiriciclaggio anch’essa basata sulle linee guida Gafi che sanciscono definitivamente che tra i reati presupposti al riciclaggio ci sono i reati tributari devono far riflettere i contribuenti ancora titubanti sulle regolarizzazione dei patrimoni detenuti all’estero e non ancora dichiarati. Recenti studi della Banca d’Italia fanno presumere una stima in difetto dei capitali italiani non dichiarati in almeno 120 miliardi di euro solo di depositi ed attività finanziarie (stima dei capitali al 2013 esclusi fondi investimento e polizze circa 180 miliardi dedotta la prima voluntary disclosure). Molte le circostanze che ormai impongono una riflessione celere vista la scadenza del termine per presentare la domanda al 2 ottobre prossimo.

Alcuni importanti accordi bilaterali prevedono infatti un entrata in vigore retroattiva per citare solo alcuni esempi : per la Svizzera il 23 febbraio 2015, per Monaco il 3 marzo 2015 per il Liechtenstein il 26 febbraio 2015, retroattività ultraquinquennale dal 1 gennaio 2009 per lo Stato Vaticano, per Panama retroattività triennale, per San Marino il 5 novembre 2014 e per il per il Lussemburgo il 20 gennaio 2015. Invece per gli accordi multilaterali sulla cooperazione ammnistrativa la retroattività potrà essere triennale qualora lo Stato richiedente la cooperazione assuma che nel proprio ordinamento sia stato compiuto un illecito penale e nel caso dell’Italia basterà contestare il superamento delle soglie previste per i reati tributari. Sul versante interno nazionale da una parte la Cassazione sia penale che tributaria ha sancito l’utilizzabilità delle liste, dall’altra gli importanti risultati raggiunti dalla Guardia di Finanza nei confronti di alcuni istituti esteri, ed infine il grande patrimonio informativo derivante dalla precedente procedura di voluntary disclosure stanno portando a numerosi accertamenti attraverso l’incrocio dei dati tra i soggetti che hanno partecipato alla collaborazione volontaria e a quelli che non hanno presentato domanda.

Infine anche la normativa che prevede l’inclusione in liste selettive di controllo i soggetti che hanno cambiato residenza fiscale dal 2010 dando ai comuni incentivi e premi sulle somme riscosse sta dando i suoi frutti. Purtroppo però benché tutte queste circostanze siano ormai conosciute bisogna riflettere sulla non ancora riuscita della riapertura dei termini della voluntary disclosure. I punti critici della procedura ormai sono stati più volte evidenziati dagli esperti e sono così da riassumere: riapertura dei termini di accertamento delle annualità ordinariamente prescritte anche in ossequio ai nostri principi costituzionali, allargamento della lista dei Paesi collaborativi agli Stati che recentemente hanno aderito agli accordi sullo scambio di informazioni e sanatoria dei contanti. Se si decidesse di affrontare e risolvere questi punti critici la procedura avrebbe un successo enorme e duraturo nel tempo e oltre a cospicue entrate straordinarie si avrebbero entrate durature nel tempo utilizzabili non solo per ridurre il deficit ma finalmente per gli investimenti che il nostro Paese stenta sempre a fare per carenza di entrate. Non bisogna sottovalutare infatti che i dati sulla prima voluntary non riportano mai l’effetto regolarizzazione nel tempo, evidentemente infatti una volta dichiarati i capitali produrranno sempre gettito imponibile risorsa inevitabile per fare investimenti.

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