Imposte

Iva, differenziali di derivati come pronti contro termine

Per gli uffici fiscali ora la regolazione sarebbe un corrispettivo

Non comincia bene il ciclo della prassi amministrativa del 2022: la risoluzione 1/E dell’agenzia delle Entrate del 3 gennaio scorso suscita notevoli perplessità, in quanto confonde il differenziale da «pronti contro termine» con i differenziali che vengono regolati in base ai contratti derivati.

Per fare un esempio sicuramente comprensibile: l’articolo 3, secondo comma, numero 3) della legge Iva considera prestazioni di servizi «i prestiti di denaro». Astraendo questa nozione dalla sistematica del tributo, e in particolare dall’articolo 13, verrebbe il dubbio di dover fatturare in regime Iva il capitale che viene concesso in prestito. Ciò che rileva ai fini del tributo è l’interesse che viene corrisposto in remunerazione del prestito.

Quindi nessuna fatturazione del capitale sia al momento del prestito che della restituzione.

Il tema dei «pronti contro termine» viene richiamato dalla risoluzione con riferimento alla legge 146/1998, modificata dalla legge 133/1999, secondo cui le operazioni derivanti da contratti pronti contro termine, che prevedono l’obbligo di rivendita a termine di titoli o valuta, si intendono unitariamente come prestazioni di servizi di finanziamento, aventi per base imponibile la differenza tra il corrispettivo a termine e quello a pronti.

Se un soggetto eroga un finanziamento di 100.000 euro per un anno al tasso del 2%, questa operazione può essere configurata contrattualmente come acquisto di titoli per un qualsiasi importo, che vengono contemporaneamente rivenduti alla controparte allo stesso importo aumentato di 2.000 euro (2% di 100.000 euro).

La natura finanziaria di questa differenza – la cui entità è nota sin dall’apertura dell’operazione – è anche formalizzata all’articolo 2425-bis del Codice civile, che ne prescrive l’imputazione per competenza dell’esercizio.

Il differenziale di un contratto derivato consiste in una somma che viene pagata o percepita in funzione di un indice, il cosiddetto «sottostante». Quando viene stipulato il contratto non è possibile sapere (altrimenti non avrebbe rilevanza come future) chi dei due contraenti ne sarà beneficiario.

Motivo in più per non condividere la recente risoluzione, in quanto – oltre a considerare corrispettivo la regolazione finanziaria del contratto (al pari di un capitale oggetto di prestito) – farebbe dipendere il soggetto di imposta dal fatto che il differenziale vada dal primo al secondo o dal secondo al primo.

Non vi è alcun dubbio che l’unico corrispettivo rilevante ai fini Iva in un contratto derivato altro non sia che la commissione di cui beneficia il soggetto che organizza l’operazione.

Ne consegue che mantiene piena validità la risoluzione 16 luglio 1998, n. 77, ampiamente motivata per porre fine – come risulta dall’incipit di questo documento – a verifiche fiscali che pretendevano di tassare i differenziali, addirittura in regime di imponibilità ad aliquota ordinaria.

Ben diversa è la motivazione della risoluzione 1/E: siccome c’è una norma per i differenziali dei pronti contro termine, questa novità del 1999 (cioè di ventidue anni fa) annulla le regole dei contratti derivati.

Che queste ultime operazioni non abbiano nulla a che vedere con i pronti termine, risulta evidente, se proprio ce ne fosse bisogno, dal fatto che nel Codice civile i pronti contro termine sono regolati da un comma dell’articolo 2425-bis, ora commentato in tre righe del paragrafo 92 del vigente Oic 12, mentre i contratti derivati sono disciplinati sia dall’articolo 2424 che dall’articolo 2427-bis del Codice civile, oltre che dall’articolo 112 del Tuir e dal principio contabile Oic 32, un documento di 118 pagine.

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