Turnover nella black list della Ue
Il Consiglio dell’Ecofin tenutosi ieri a Bruxelles è nuovamente intervenuto sulla black list recante l’elenco delle giurisdizioni “non cooperative”, emanata il 5 dicembre scorso.
Alla luce degli impegni di alto livello assunti per riformare le proprie politiche fiscali, Bahrain, Isole Marshall e Santa Lucia sono state tolte dalla lista nera e inserite in quella “grigia” dei Paesi sotto osservazione.
Alla lista grigia si aggiungono anche quattro delle otto giurisdizioni dei Caraibi che, a causa degli uragani del 2017, avevano beneficiato di un termine più lungo per replicare alle osservazioni eccepite dal gruppo “Codice di condotta” nella fase di screening. Si tratta di Anguilla, Antigua e Barbuda, Isole Vergini britanniche e Dominica, che si sono impegnate a rafforzare le carenze individuate nei propri sistemi fiscali.
Entrano invece a popolare la black list Bahamas, Saint Kitts e Nevis e le Isole Vergini statunitensi, mentre l’ottava giurisdizione dei Caraibi, le Isole Turks e Caicos, avrà tempo fino al 31 marzo prossimo per decidere se affrontare o meno le problematiche fiscali riscontrate in sede europea. Si ricorda che la lista era già stata oggetto di un primo correttivo con la decisione varata dall’Ecofin il 23 gennaio scorso, che aveva eliminato dall’elenco dei Paesi non collaborativi ben 8 delle 17 giurisdizioni inizialmente individuate, promuovendo, al contempo, Panama, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Barbados, Grenada, Macao, Mongolia e Tunisia nella grey list.
A oggi, quindi, la black list di matrice europea conta 9 giurisdizioni: American Samoa, Bahamas, Guam, Namibia, Palau, Samoa, Saint Kitts e Nevis, Trinidad e Tobago e Us Virgin Islands. Fanno invece parte della lista “grigia” 59 giurisdizioni in luogo delle originarie 47.
La black list avrà un impatto effettivo sui Paesi interessati. Ad esempio, i finanziamenti europei operanti nel contesto del Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (Efsd), del Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis) e del Mandato di prestito esterno (Elm) non potranno più convogliare attraverso entità localizzate in Paesi “non collaborativi”. Inoltre, la lista è entrata a far parte di talune proposte legislative, quali la Com/2016/0198 final - 2016/0107 sul “Country by Country reporting”.
Nell’obiettivo dichiarato dal Consiglio, l’elenco intende promuovere il buon governo in materia fiscale a livello mondiale, massimizzando gli sforzi per prevenire l’elusione, la frode e l’evasione fiscale. Ciò dovrebbe peraltro favorire l’adozione da parte di tutti gli Stati membri di un elenco comune in grado di superare i limiti di un approccio patchwork alla lotta ai paradisi fiscali.
In questo scenario la scelta adottata dall’Italia di abbandonare il precedente sistema eretto sulla balck list in luogo di un criterio di identificazione dei regimi a fiscalità privilegiata basato esclusivamente sul livello di tassazione nominale del Paese estero, mette in luce la profonda distanza tra l’approccio domestico e quello europeo. E ciò non solo per lo strumento adottato dal Consiglio (per esempio la pubblicazione di una lista nera), quanto per i criteri utilizzati nella fase di screening basati su trasparenza fiscale, equità fiscale e adozione di misure anti-Beps.
Le differenze emergono anche confrontando i Paesi attualmente inseriti nella white list di cui al Dm 4 settembre 1996, posto che delle attuali 9 giurisdizioni contemplate nella black list europea, 3 rientrano nella withe list italiana, mentre delle 59 giurisdizioni facenti parte della grey list, 43 popolano anche la white list. In quest’ottica una rivisitazione dei criteri di individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata coerente con l’approccio europeo consentirebbe di superare l’incertezza che l’articolo 167, comma 4, del Tuir gioco-forza determina, creando al contempo un contesto più chiaro ed equo sia per le imprese, sia per gli stessi Paesi terzi .