Controlli e liti

Abuso del diritto, «debt pushdown» a rischio elusione

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di Raul-Angelo Papotti e Simone Schiavini

Con sentenza n. 18632 depositata in data 13 luglio 2018, la Corte di cassazione ha sancito la natura elusiva di una riorganizzazione cross-border realizzata da una società di diritto olandese (“Bv”) mediante cessione della propria partecipazione totalitaria in una Società per Azioni (“Spa”) a favore di un’altra controllata italiana (“Ni”), a fronte della contestuale erogazione di un finanziamento fruttifero nei confronti della cessionaria per un importo pari al prezzo di cessione.
In particolare, all’esito di tale operazione, gli oneri finanziari derivanti dal finanziamento (parzialmente convertito in capitale) avevano finito per gravare sul consolidato nazionale “sottostante” (consolidante la Spa), azzerandone il reddito imponibile complessivo.
La Suprema corte ha, dunque, ritenuto fondata la contestazione dell’agenzia delle Entrate sostenendo – sulla base dell’articolo 37-bis, Dpr 600/1973 e della nozione di abuso del diritto di matrice giurisprudenziale – che non sussistevano ragioni di “convenienza economica” per implementare una riorganizzazione così complessa in luogo di un lineare (e “fisiologico”) conferimento di partecipazioni cross-border, ad eccezione del vantaggio fiscale ottenuto in Italia nell’ambito del consolidato fiscale.
Ciò premesso, la tesi della Cassazione circa l’elusività di un’operazione come quella appena descritta dovrebbe essere giustificabile solo laddove la riorganizzazione sia finalizzata a realizzare una forma di cash extraction a favore di una società del gruppo non residente, facendo gravare sul debitore residente interessi passivi non serventi il pagamento di un debito nei confronti dei terzi. A tal riguardo, non pare poter venire in soccorso neppure la previsione dell’articolo 10-bis, comma 4, legge 212/2000 (oggi applicabile ratione temporis), che come noto attribuisce al contribuente la facoltà di scegliere, a fronte di una pluralità di opzioni, l’alternativa meno onerosa da un punto di vista fiscale: la riorganizzazione in esame, infatti, costituirebbe un insieme artificialmente composto di operazioni finalizzato ad ottenere un indebito vantaggio tributario, piuttosto che una legittima possibilità messa a disposizione dall’ordinamento.
Al contrario, la censura di elusività sarebbe infondata laddove la riorganizzazione fosse funzionale ad effettuare il pushdown del debito contratto nei confronti di terzi - al livello della controllante non residente - per finanziare l’acquisizione di una società italiana, poi – come nella decisione in commento - ’trasferita’ nell’alveo delle altre società italiane del gruppo. Infatti, gli effetti economici e tributari così ottenuti non differirebbero, nella sostanza, da quelli di un’operazione di Lbo finanziata per il tramite di una società non localizzata in Italia, ritenuta legittima dall’agenzia dell’Entrate con la circolare 6/E/2016. In tal senso sembra opportunamente esprimersi anche la sentenza in commento, la quale individua specificamente un elemento fattuale qualificabile quale indice di elusività nella circostanza che la cedente Bv aveva in origine ottenuto la partecipazione in Spa mediante conferimento da parte della propria controllante – invece che tramite una operazione di vendita - e, dunque, senza sostenere oneri finanziari da soddisfare mediante i proventi derivanti dal finanziamento concesso a Ni acquirente.

La sentenza n.18632/18 della Cassazione

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