Controlli e liti

Abuso del diritto, giudici ancora incerti sulle sanzioni amministrative

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di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

La recente giurisprudenza della Cassazione (sentenze 9378 del 1° marzo e 7038 del 21 marzo 2018) offre lo spunto per sintetizzare in un quadro organico il tema dell’applicazione delle sanzioni amministrative e penali alle condotte elusive contestate ai contribuenti.

Ricordiamo preliminarmente che le nuove disposizioni dell’articolo 10 bis della legge 212/2000 sono applicabili a partire dal 1° ottobre 2015, anche con riferimento alle operazioni poste in essere in data anteriore, ma per le quali a quella data non sia stato notificato il relativo atto impositivo. Il comma 13 prevede espressamente che «le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie».

Conseguentemente, una volta esclusa la rilevanza penale di per sé delle condotte elusive, l’azione penale deve ritenersi limitata ai comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo della documentazione falsa (come previsto dall’articolo 8 della legge delega n. 23/2014).

La giurisprudenza si è allineata al dettato normativo: nella sentenza 16 novembre 2016 n. 48293, la Corte di cassazione ha riconosciuto che la nuova norma «esclude che operazioni esistenti e volute, anche se prive di sostanza economica e tali da realizzare vantaggi fiscali indebiti, possano integrare condotte penalmente rilevanti». Recentemente, la pronuncia 9378 del 1 marzo 2018 riproduce integralmente questo passaggio, contribuendo a rendere consolidato il principio in esso espresso.

Il riferimento al passato è necessario, in quanto rimangono in vita diversi contenziosi relativi ad accertamenti eseguiti sulla base della normativa precedente, che non disponeva nulla a proposito dell’applicabilità o meno di sanzioni.

Con riferimento alle sanzioni penali, in passato la Suprema corte ne ha sancito l’applicabilità in diverse occasioni (sentenze n. 7739 del 2012, n. 19100 del 2013, n. 33187 del 2013, n. 15186 del 2014). Si tratta però di decisioni che precedono l’introduzione della nuova normativa; recentemente, i giudici hanno invece concluso per l’applicabilità del «favor rei» stabilendo che eventuali condotte elusive non possono più essere perseguite (sentenze n. 40272 e n. 43809 del 2015). Rimangono ovviamente penalmente rilevanti, come sopra ricordato, i comportamenti fraudolenti o simulatori, che però ricadono al di fuori della fattispecie dell’elusione.

Per quanto riguarda le sanzioni amministrative, assistiamo ad un percorso opposto: un primo orientamento della Cassazione era giunto ad escludere che una sanzione amministrativa in materia tributaria potesse essere applicata per effetto della violazione non di una precisa disposizione di legge ma di un principio generale, quale quello antielusivo, ritenuto immanente al sistema.

Successivamente, però, la giurisprudenza prevalente ha attribuito alla norma antielusiva natura sostanziale, volta a concorrere a determinare l’effettivo ambito applicativo della norma impositiva; pertanto, la sua violazione doveva essere inquadrata nella «infedele dichiarazione» (articolo 1 comma 2, del Dlgs 471/97). In una sentenza recente (n. 7038 del 21 marzo 2018), la Cassazione ha giudicato abusivo il comportamento di un gruppo societario nel quale una società ha generato perdite da dismissioni di rami di azienda e di immobili, e successivamente è stata incorporata con lo scopo di far beneficiare l’incorporante delle perdite fiscali. Alla fattispecie, antecedente l’entrata in vigore dell’articolo 10 bis, sono state dichiarate applicabili le sanzioni amministrative per infedele dichiarazione.

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