Ace, per i soggetti Irpef scoglio-imputazione dopo i prelievi dei soci
Avrebbe dovuto essere un «aiuto alla crescita» ma le continue modifiche normative lo stanno trasformando in un vero e proprio rompicapo fonte di perdita di tempo e di equivalenti costi amministrativi. In particolare, il calcolo Ace dei soggetti Irpef richiede, dopo le modifiche introdotte dalla legge di stabilità 2017, di dover preliminarmente scomporre il patrimonio netto aziendale per periodi di formazione. I periodi che devono essere individuati sono essenzialmente tre:
1) periodo anteriore all’anno 2011;
2) periodo compreso tra l’anno 2011 e l’anno 2015;
3) periodo decorrente dall’anno 2016.
Con le nuove regole introdotte dalla richiamata legge di stabilità (che dovrebbero essere confermate in fase di conversione del Dl 50/2017) i soggetti Irpef vengono di fatto equiparati, ai fini dell’individuazione della base Ace, ai soggetti Ires. Non rileva più, quindi, il solo patrimonio netto di fine esercizio ma occorre determinare l’incremento del capitale proprio rispetto a quello dell’anno 2010.
Il legislatore ha disposto, al riguardo, che la determinazione dell’incremento imputabile al periodo 2011-2015 sia calcolata per differenza tra il patrimonio netto al 31 dicembre 2015 e quello al 31 dicembre 2010. Sembrerebbe tutto assai semplice ma vi possono essere ipotesi operative che pongono invece una serie di criticità assai rilevanti e che richiedono, a questo punto, a trenta giorni dalla scadenza dei dichiarativi dei soci, un immediato intervento chiarificatore da parte dell’agenzia delle Entrate. Il primo dubbio insorge nel momento in cui si deve determinare l’incremento del capitale proprio riferibile al periodo 2011-2015. In particolare, poiché l’intento del legislatore è quello di assimilare le modalità di determinazione della base Ace dei soggetti Irpef a quelle dei soggetti Ires, si dovrebbe chiarire se nel concetto di patrimonio netto (31 dicembre 2010 e 31 dicembre 2015) debba o meno essere compreso anche l’utile di esercizio. Il problema assume rilievo soprattutto in riferimento al patrimonio 2010. Al riguardo si ritiene che il patrimonio netto 2010 debba essere assunto al netto dell’utile di esercizio di tale anno (in attuazione di quanto previsto, per i soggetti Ires, dall’articolo 4 del Dm 14 marzo 2012). È evidente, infatti, che l’esclusione dell’utile 2010 dal patrimonio netto di riferimento crea un’equivalente base Ace che incide direttamente sul calcolo per l’anno 2016.
Inoltre è evidente che, ragioni equitative, dovrebbero suggerire l’inclusione dell’utile 2010 nella base di calcolo così come espressamente ammesso, per i soggetti Ires, in base al citato articolo 4. Per l’anno 2015 il problema potrebbe riproporsi ma senza conseguenze pratiche sostanziali sulla determinazione della base Ace 2016. Infatti se il patrimonio netto di riferimento per l’anno 2015 fosse considerato al lordo dell’utile del medesimo anno la base Ace ne risentirebbe positivamente al momento della determinazione della differenza tra patrimonio 2015 e patrimonio 2010. Tuttavia, anche qualora si propendesse a considerare il patrimonio 2015 al netto del relativo utile, quest’ultimo diverrebbe poi un componente positivo della base Ace 2016 configurandosi come incremento nel medesimo anno (allo stesso modo di quanto avviene per i soggetti Ires). Cambierebbero solo le modalità espositive in dichiarazione.
I prelievi dei soci
La criticità più rilevante attiene comunque al trattamento dei prelevamenti effettuati dai soci. Tali prelevamenti creano, in pratica, due ordini di problemi:
1) l’individuazione del periodo in cui assumono rilevanza;
2) la determinazione delle regole di imputazione alle parti ideali del patrimonio netto esistente.
Sotto il primo profilo non dovrebbe dubitarsi del fatto che i prelevamenti debbano essere imputati per cassa. Si dovrà infatti tener conto che, diversamente dai soggetti Ires, in ambito Irpef non esistono documenti a supporto della «distribuzione dei dividendi».
Il problema, al momento non superabile, è tuttavia rappresentato dall’individuazione delle modalità di “scarico” dei prelevamenti dei soci dagli stock di riserve presenti in bilancio. È infatti evidente che qualora si ammettesse (la semplificazione lo esige) la piena libertà di imputazione dei predetti prelevamenti risulterà certamente conveniente il prioritario utilizzo delle riserve formatesi prima del 2011 che, come detto, non rilevano mai ai fini Ace.
In questo modo si lascerebbe infatti tendenzialmente inalterata la base 2011-2015 (fino ad esaurimento delle riserve ante 2011)valorizzando, al contempo, le nuove capitalizzazioni. I richiamati motivi di semplificazione richiederebbero inoltre, per una volta, un ulteriore sforzo da parte dell’Amministrazione che dovrebbe lasciare, sotto il profilo fiscale, piena libertà di scelta al contribuente anche a dispetto di eventuali regole civilistiche suscettibili di influenzare tale imputazione (si pensi, ad esempio, all’esistenza in bilancio di riserve di rivalutazione, affrancate o non affrancate).Una cosa è comunque certa. La determinazione della base imponibile Ace 2016 comporterà un notevole aggravio amministrativo per le imprese che si vedranno costrette a una complessiva rielaborazione contabile ed extracontabile del proprio patrimonio che risulta ad oggi inattuabile per assoluta assenza di regole. Ma ciò che deve preoccupare maggiormente è l’impossibilità di determinare correttamente il carico fiscale dei soci fintanto che non si conoscerà la misura esatta dell’agevolazione spettante. Il tempo stringe e comunque non si capisce, ancora una volta, il bisogno di simili complicazioni quando le finalità di gettito, con cui sono state giustificate le novità introdotte, avrebbero forse molto più semplicemente potuto essere raggiunte modulando opportunamente il «rendimento nozionale» (come peraltro sembra si stia facendo nel passaggio parlamentare in corso).