Alla scissione ci si può solo opporre
L’atto di
I creditori della scissa, infatti, sono tutelati dal diritto di opposizione alla scissione (previsto dall’articolo 2503 del Codice) e, in generale, dalla responsabilità solidale che nasce tra la società scissa e la beneficiaria, nei limiti del patrimonio assegnato a quest’ultima, per le obbligazioni della scissa che essa non possa soddisfare (articolo 2506-quater). È l’ennesima puntata dell’aspro contrasto giurisprudenziale sull’ammissibilità della revocatoria nelle scissioni.
Per il Tribunale di Roma, visto che il diritto di opposizione per i creditori nelle scissioni e l’azione revocatoria ordinaria tutelano il medesimo interesse (quello di «dotare i creditori di uno strumento volto alla conservazione della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740» del Codice, rappresentata da tutti i beni del debitore, presenti e futuri), se si potesse ricorrere indistintamente all’uno o all’altro istituto si avrebbe un’inutile duplicazione di rimedi per i creditori.
Se infatti i creditori potessero esperire sia il diritto di opposizione che l’azione revocatoria, si genererebbe una situazione di confusione a scapito della «necessità di assicurare certezza ai rapporti e ai traffici economici derivanti dalle operazioni di scissione e di fusione»: il diritto di opposizione e la previsione della responsabilità solidale tra la società scissa e la società beneficiaria, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto attribuito alla società beneficiaria, «costituiscono un compendio normativo» «che assume carattere assorbente rispetto all’istituto civilistico dell’azione revocatoria» e che è idoneo a «coprire ogni possibile ipotesi di pregiudizio della posizione creditoria».
Il Tribunale di Roma conferma dunque la posizione di una parte della giurisprudenza di merito sulla revocabilità dell’atto di scissione (per gli estremi delle sentenze, conformi e non, si veda la scheda a destra) e, sostanzialmente, ricalca i princìpi espressi dal Tribunale di Bologna nella sentenza n. 861 del 1° aprile 2016 (commentata sul Sole 24 Ore del 4 maggio 2016).
A questo orientamento restrittivo se ne contrappone un altro, di segno completamente opposto, secondo il quale, mancando una norma che, nel caso della scissione, limiti la possibilità di promuovere l’azione revocatoria ordinaria, ritiene esperibile questa azione, dal momento che si tratta di un rimedio di carattere “generale”, e cioè apprestato per ogni caso in cui il creditore vede diminuito il patrimonio del debitore per effetto di atti da questo compiuti in frode alle ragioni creditorie. Secondo questa tesi, l’esperimento dell’azione revocatoria non potrebbe essere ostacolato nemmeno dal disposto dell’articolo 2504-quater (dettato in tema di fusione, ma reso applicabile alla scissione dall’articolo 2506-ter) secondo il quale, una volta iscritto l’atto di scissione nel Registro imprese, non è più possibile contestarne la validità, atteso che la pronuncia di accoglimento dell’azione revocatoria comporta «solo una inefficacia relativa dell’atto senza pregiudicare la stabilità dell’organizzazione societaria nel suo complesso».
Il Tribunale di Roma, infine, osserva che i creditori, i quali ritengano di esser stati pregiudicati dall’atto di scissione, possono in ogni caso chiedere il risarcimento del danno (ai sensi degli articoli 2506-ter e 2504-quater), come già affermato in precedenti pronunce di altre corti di merito.